Droga, gli affari della mafia nella riserva dove non c'è lo Stato - QdS

Droga, gli affari della mafia nella riserva dove non c’è lo Stato

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Droga, gli affari della mafia nella riserva dove non c’è lo Stato

Simone Olivelli  |
sabato 23 Marzo 2024

Dalle carte dell'inchiesta è emerso che i rapporti tra i clan gelesi e quelli catanesi sarebbero stati frequentissimi.

È piena notte tra le serre sparse nella natura preziosa e bistrattata del Biviere di Gela. Un uomo si sveglia dopo avere sentito rumori provenire da una delle stradelle che solcano quest’area controversa: protetta dall’Unione europea, ma in realtà dimenticata da tutti, a eccezione di chi prova a mantenere la barra dritta in un contesto in cui per le regole non sembra esserci posto. L’uomo si accosta a una finestra: all’esterno del cancello c’è un gruppetto di persone, forse sono sei e in mano hanno quelle che sembrano delle borse. A quel punto, insospettito, prende il telefono per segnalare le presenze che, a quest’ora e da queste parti, non possono essere altro che indesiderate. Poi, però, con la chiamata ancora aperta, rettifica: “Tutto a posto”.

Ad accogliere il falso allarme non sono le forze dell’ordine, ma un giovane di nazionalità romena. Si chiama Marius Martin e, ad aprile del 2019, non ha ancora compiuto 28 anni. Il ragazzo, stando a quanto ricostruito dai magistrati della Dda di Caltanissetta nell’inchiesta Ianus, sarebbe stato a disposizione dei clan mafiosi che a Gela – a una decina di chilometri dal centro – avrebbero sfruttato le aree delle serre per coltivare ingenti quantitativi di marijuana.

Gli affari lontano da occhi indiscreti

“Erunu sbirri? Un si n’adduna quando arrivano i cristiani?” Sentendo il racconto fatto da Martin, Giuseppe Pasqualino trattiene a stento il nervosismo. I due sono coetanei ma hanno ruoli diversi: mentre il primo è un anello della catena di montaggio dedita alla produzione di sostanze stupefacenti, il secondo gode di un ruolo di maggiore rilievo all’interno della criminalità organizzata gelese. Di questo, perlomeno, sono convinti i magistrati: Pasqualino, infatti, è genero di Giuseppe Tasca, colui che sarebbe stato il reggente dei Rinzivillo. La famiglia che nel territorio storicamente si è spartito il potere mafioso con gli Emanuello. Una rivalità che però sembra ormai appartenere al passato. “Il tenore dei dialoghi e gli incontri fisici – si legge nell’ordinanza che ha portato al recente blitz – consegnano il dato di una cointeressenza dei gruppi Rinzivillo ed Emanuello alla gestione delle serre e dei depositi di marijuana”.

A preoccupare Pasqualino sarebbe stato il rischio che uno dei depositi utilizzati dal clan per ammucchiare la marijuana coltivata in loco potesse essere finito nel mirino delle forze dell’ordine. Così in effetti sarà: l’indagine, infatti, ha portato a scovare due differenti siti che, dalle parti del Biviere, contrada che dà il nome anche alla nota riserva naturale importantissima per l’avifauna, venivano usati come magazzini per la droga. Tuttavia, a caldo, per Pasqualino e Martin vengono rassicurati: il custode del deposito è certo che la notte precedente, intorno alle 4, le persone che si erano avvicinate alla serra non erano agenti.

I contatti con i catanesi

Dalle carte dell’inchiesta è emerso che i rapporti tra i clan gelesi e quelli catanesi, con tanto di tensioni in occasione di una partita andata perduta prima ancora di essere pagata, sarebbero stati frequentissimi. Settimanalmente, dal capoluogo etneo sarebbe partito in direzione Gela oltre un chilo di cocaina. La rotta commerciale, tuttavia, sarebbe stata bidirezionale: dalla città del golfo, infatti, i catanesi avrebbe acquistato la marijuana coltivata tra le serre. Decine e decine di chili trasportati periodicamente sulle auto, abbassando i sedili e organizzando staffette con l’obiettivo di individuare eventuali posti di blocco. Tra gli acquirenti ci sarebbe stato anche Salvatore Castorina, oggi collaboratore di giustizia ma in passato narcotrafficante per conto del clan Cappello, del gruppo del boss catanese Mario Strano e poi, per un periodo, broker autonomo. “Si ma fa avvidiri, u piaciri di talialla”, è la richiesta che Castorina fa a Pasqualino nel corso di una visita al Biviere. La qualità della marijuana sarebbe stata fuori discussione, ma il catanese, tuttavia, avrebbe esplicitato il desiderio di poterla vedere.

Un posto senza Stato

“Leggere queste notizie per chi conosce il Biviere non suscita stupore, questa è una zona che ormai sembra essere uscita fuori dai radar delle istituzioni”. A lanciare l’allarme, soltanto l’ultimo in ordine di tempo, è Emilio Giudice. Tramite la Lipu e per conto della Regione, gestisce la riserva del Biviere. Un impegno quotidiano che si scontra con un contesto dove è difficile operare, in cui a fronte delle tutele naturali riconosciute a livello comunitario gli illeciti in materia ambientale sono all’ordine del giorno. “L’abbandono dei rifiuti, la cattiva gestione delle plastiche delle serre, l’inquinamento sono cause ed effetto dell’abbandono che caratterizza questa porzione di territorio – commenta Giudice, contattato dal Qds – Con le poche risorse che abbiamo, facciamo del nostro meglio ma i problemi qui non sono affrontabile in un regime di ordinarietà”. Le criticità non riguardano soltanto il fronte strettamente ambientale: “Ci sono situazioni di disagio sociale che se non arginate in futuro rischieranno di deflagrare. Tra queste serre – prosegue – vivono giorno e notte intere comunità la cui esistenza si sviluppa in contesti fuori dalle regole. In condizioni di sfruttamento e dove la mano criminale può attingere facilmente alla ricerca di manovalanza”. L’appello di Giudice è rivolto alle istituzioni: “Finché si continuerà a decidere di fingere che tutto ciò non esista, la situazione potrà solo peggiorare. È giunto il momento – conclude – che tanto lo Stato quanto la Regione e le istituzioni locali guardino in faccia alla realtà”.

Credit foto: Wikipedia Commons – CC BY-SA 3.0 DEED

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