Ecosistema urbano, solito disastro siciliano - QdS

Ecosistema urbano, solito disastro siciliano

redazione

Ecosistema urbano, solito disastro siciliano

Roberto Greco  |
martedì 24 Ottobre 2023

Dalle carenze nel trasporto pubblico alle scarse percentuali di raccolta differenziata, l’annuale classifica di Legambiente inchioda ancora una volta le città siciliane: Catania e Palermo ultime

“Dagli animali possiamo imparare con grande efficacia il valore della sobrietà. La condizione stessa di ‘animalità’ è in antitesi al concetto di ‘spreco’, perché è legata a doppio filo agli equilibri dell’ecosistema” ha scritto il semiologo Dario Martinelli nel suo “Lettera a un futuro animalista”. Eppure, troppo spesso, noi c.d. umani attribuiamo alla parola “animale” un’accezione negativa, utilizzandola troppo spesso in antitesi a “umano”, per identificare una persona inumana. Proprio sull’ecosistema urbano si è concentrato il rapporto presentato ieri da Legambiente, arrivato alla 30° edizione, che ha analizzato le performance ambientali e che ha rilevato come i capoluoghi siano tendenzialmente fermi su emergenze croniche e, in generale, poco propensi al miglioramento e alla necessità di dare una risposta alle emergenze urbane. Smog, trasporti, spreco idrico, auto circolanti restano, da nord a sud, le questioni più critiche da affrontare.

Catania e Palermo, entrambe al 105° posto

Un dato che balza subito agli occhi è il posizionamento delle due principali città siciliane che si contendono l’ultimo posto nella classifica delle 105 città capoluogo oggetto dell’analisi che ha portato alla realizzazione del report. Si tratta di Catania e Palermo, entrambe al 105° posto. Un dato, ahimè, già consolidato negli anni precedenti tanto che le due città anche nell’edizione 2021 e in quella 2022 del rapporto erano il fanalino di coda dei capoluoghi italiani. Sono stati riscontrati numeri costantemente elevati delle concentrazioni di biossido d’azoto a Palermo e il sempre troppo alto numero di auto circolanti di Catania, 78 auto ogni 100 abitanti. È cresciuto il dato della raccolta differenziata a Palermo, di poco, attestandosi al 16,3%, mentre era al 15,4% lo scorso anno, e Catania invece si attesta al 26,2% Si evidenziano gli appena 9 viaggi pro capite effettuati annualmente sul servizio di trasporto collettivo dai cittadini di Catania.

Pochi alberi in città

A Palermo ne sono stimati 12 alberi ogni 100 abitanti mentre a Catania meno di dieci a fronte degli oltre 117 di Modena in testa alla classifica, poco meno di di 55 metri quadrati di isole pedonali, sempre ogni 100 abitanti, mentre a Catania sono meno di 4 mentre a Lucca, la capolista, sono oltre 680. Negativo anche un dato che, nell’isola del sole, lascia esterrefatti. Si tratta quello relativo alla potenza installata su edifici pubblici ogni mille abitanti che vede Catania con 2,82 KW e Palermo con appena 0,081 KW contro gli oltre 30 di Padova, che domina la classifica. Il dato relativo alla qualità dell’aria che respiriamo, vede Catania al 94° posto della specifica classifica con 30,75 e Palermo al 100°con 35 ug/mc di concentrazione media di biossido d’azoto, mentre il dato delle Pmi, le particelle di particolato, indicano a Catania 27,5 e Palermo a 28 la concentrazione media, sempre in ug/mc, su base annua mentre a Lecce, che domina la classifica staccando Sassari al secondo posto, ne sono state misurate solo 8 ug/mc. 78° e 79° posto rispettivamente per Catania e per Palermo, invece, nella classifica per le infrastrutture dedicata alla ciclabilità che stimano meno di 3 metri per abitante.

Meno disastroso, segno che qualcosa si è fatto o perlomeno si è tentato di fare, il dato relativo all’offerta di trasporto pubblico che posiziona Catania al 12° posto e Palermo al 14° rispettivamente con quasi 22 e poco meno di 15 chilometri di percorrenza per vettura per abitante mentre a Milano, che si attesta al primo posto, sono oltre 112 chilometri. Estremamente negativo il dato relativo alla raccolta differenziata e dei rifiuti prodotti. In questo caso si stima che Palermo differenzi solo il 0,16% dei rifiuti prodotti, che sono oltre 570 Kg pro capite, e a Catania che, a fronte degli oltre 620 kg di rifiuti prodotti pro capite, dove solo lo 0,26% viene differenziato.

Le altre province siciliane

E le altre province siciliane? Difficile trovarle nelle diverse “top ten” argomentali. Tra le rare eccezioni troviamo Agrigento al 3° posto della classifica che riguarda la concentrazione di biossido d’azoto dell’aria e Enna al 7° posto di quella relativa alla concentrazione di Pmi. Ancora Agrigento è sul podio, con il 3° posto, con il suo parsimonioso consumo idrico domestico (ma forse potrebbe essere più la mancanza dell’acqua a far risparmiare i cittadini…) e Messina al 10° posto nell’offerta di trasporto pubblico urbano. In generale, però, nessuna città siciliana brilla per la sua posizione nella classifica generale in cui troviamo Caltanissetta al 103° posto, Messina al 96°, Siracusa al 94°, Ragusa all’87°, Trapani all’86°, Enna all’81° e Agrigento al 72°.

Per quanto riguarda il fallimentare risultato siciliano, soprattutto quello di Palermo e Catania, le amministrazioni che oggi reggono il Governo cittadino si sono insediate da poco più di un anno a Palermo e da quattro mesi a Catania. Pur non avendo responsabilità di gestione su cui puntare il dito, è evidente che le loro scelte strategiche saranno fondamentali per far uscire da questa empasse negativa le città da loro amministrate.

“Le città – ha dichiarato Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – vanno ripensate come motori di un cambiamento capace di renderle vivibili e a misura umana, nonché laboratori fondamentali per il percorso di decarbonizzazione. Occorre infrastrutturarle, realizzando gli impianti industriali dell’economia circolare, riducendo le perdite nella rete di distribuzione dell’acqua, completando la rete di fognatura e depurazione delle acque reflue, facilitando la permeabilità del tessuto urbano alle acque piovane per adattarsi alla crisi climatica e ricaricare le falde, diffondendo le colonnine di ricarica elettrica negli spazi pubblici”.

Alla presentazione del rapporto hanno partecipato diversi amministratori, o ex amministratori, dei capoluoghi italiani. Dai loro interventi risulta evidente che, al di là del singolo risultato numerico, il dato più significativo è quello relativo alla raggiunta consapevolezza non solo delle amministrazioni comunali ma degli stessi cittadini che hanno compreso che il modello di transizione necessario li deve vedere protagonisti, non mesi esecutori di ordinanze e regole.

“Ma nei piccoli Comuni tanti passi avanti negli ultimi cinque anni”

Parla il segretario regionale dell’Anci Sicilia, Mario Emanuele Alvano

ancisicilia alvano
Mario Emanuele Alvano

A seguito della pubblicazione del report di Legambiente “Ecosistema Urbano 2023”, interviene al QdS il dottor Mario Emanuele Alfano, segretario generale di Anci Sicilia.

Inizierei da una valutazione complessiva che, però non può prescindere da un dato: salvo che in rare occasioni, i capoluoghi siciliani sono ancora molto lontani dall’ottenere risultati adeguati alla creazione e alla custodia dell’ecosistema urbano anche se il dato dei capoluoghi censiti dal rapporto ha fatto scomparire tanti piccoli comuni virtuosi che hanno dimostrato di poter ottenere risultati ampiamenti superiori ai capoluoghi stessi…
“La sua osservazione sui piccoli comuni è non solo corretta ma anche importante. Nello specifico sul tema rifiuti le eccellenze di tanti comuni e i passi in avanti avvenuti negli ultimi cinque anni sono significativi e sono tanto più importanti se si osserva che in Sicilia c’è una situazione di partenza della distribuzione dell’impiantistica che è inadeguata e quindi i comuni siciliani fanno più fatica di altri perché si devono confrontare con un sistema di conferimento che presenta una serie di limiti per la carenza oggettiva di impianti di prossimità. Se però allarghiamo il ragionamento non solo al tema dei rifiuti, come quello idrico o la vivibilità o la sostenibilità del territorio non posso non notare alcuni parallelismi. In Sicilia la gestione di questi sistemi, che avviene in forma associata tra i comuni, attraverso le strutture territoriali, è faticosa. I comuni, in Sicilia, fanno fatica a operare insieme in questi sistemi aggregati per una serie di problemi”.

Quali sono?
“In primis non esistono e non sono mai esistiti meccanismi di sostegno per i comuni in questo tipo di azioni, nonostante, come Anci, abbiamo più volte chiesto di attivare sistemi associativi per la gestione di determinati ambiti. Non si è inoltre tenuto conto che, anche per alcuni limiti legislativi, negli anni questi sistemi aggregati hanno fatto fatica a decollare perché il nostro sistema organizzato è un sistema in affanno, con carenza di personale, limiti di capacità amministrativa, carenza di professionalità e di carattere amministrativo. Sia che l’associazionismo sia obbligatorio o imposto dalla legge sia possa essere una scelta, ossia un’opportunità, data ai territori in realtà non ci si pone il problema di rafforzare queste strutture e si preferisce demandando ai comuni la loro organizzazione e allora si pone il problema che ho poc’anzi menzionato. Il problema è, essenzialmente, di carattere legislativo, organizzativo e di assenza di politiche mirate per il rafforzamento del settore. Non mancano le risorse per l’investimento ma, spesso, la dotazione finanziaria per la fase di start-up è inesistente e questo è oltremodo limitante perché proprio nella fase iniziale il sistema può organizzarsi e pianificare il proprio operato. Tenga conto che, al di là dei temi affrontati dal report, lo stesso ragionamento può essere applicato al sistema socio-sanitario, al settore della prevenzione incendi, ai piani della protezione civile perché si continua nella logica di affidare a singoli comuni operazioni che poi, in realtà, per il singolo comune sono complesse quando, in maniera più semplice, si potrebbe affidarle a poche unità altamente specializzate e organizzate in grado di replicare n volte i vari modelli”.

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