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Elezioni comunali il giorno dopo: l’Italia è in stallo

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Elezioni comunali il giorno dopo: l’Italia è in stallo

Giovanni Pizzo  |
lunedì 27 Giugno 2022

Le elezioni comunali ci danno un verdetto abbastanza chiaro. Intanto la insofferenza degli italiani che continuano ad andare sempre meno ai seggi.

Le elezioni comunali ci danno un verdetto abbastanza chiaro. Intanto la insofferenza degli italiani che continuano ad andare sempre meno ai seggi. La seconda valutazione è la fine degli schemi ad oggi visti. Fine del centrodestra classico e del campo largo giallorosso. Se si analizzano complessivamente i 142 maggiori comuni al voto, sostanzialmente le amministrative sono un pareggio. Il ballottaggio ha sicuramente dato una mano al centrosinistra, che ha recuperato rispetto alla sconfitta delle due città maggiori, Palermo e Genova, al primo turno. Quasi mai i candidati locali che hanno vinto sono stati vincenti per le capacità di esprimersi dei leader nazionali dei partiti, anzi vincono i sindaci capaci di smarcarsi. Caso esplicativo Tommasi a Verona rispetto al meloniano di ferro Sboarina.

Il caso Verona simboleggia la frattura ormai chiara, netta e ineludibile del centrodestra. La lega nazionale non va da nessuna parte, ma la capacità di superamento della Meloni non vince mai per carenza assoluta di classe dirigente. Il caso Tosi non è isolato, verrà probabilmente replicato in forma molto più ampia dal prossimo caso Moratti. Come il caso Sala evidenzia che la strategia del campo giallorosso è già esaurita. In parte perché il PD si è già mangiato tutto quello che poteva dai 5stelle, e poi perché questi non ci sono più. Andranno alle prossime elezioni con almeno due se non più simboli.

Questa Italia comunale dove le esperienze civiche contano e molto, vedi il caso Parma, o Como, dove le tradizioni non sono più certezze come Sesto S. Giovanni o Lucca, ci ripropongono un paese che è in stallo come il sistema politico nazionale, ad oggi commissariato per inadeguatezza da parte di Mattarella e Draghi.

Di fatto la comunità italiana è tornata al proporzionale da sola, ed ha decretato il fallimento della logica maggioritaria del palazzo della politica, che tende solo a preservare classi dirigenti e non costruire politica sui territori.

Il rischio per l’ex campo largo è che per mutare in qualcos’altro potrebbe mettere a rischio il governo del Paese ed il PNRR. Difficilmente Conte potrà seguirli se Letta virasse al centro dove si trovano Calenda, Renzi, Toti, Sala ed ora pure Di Maio.

Le tante sigle del centro politico ormai sono numerose come i topolini del Pifferaio magico e sono difficili da coinvolgere e federare. A meno che non trovino un leader vincente, un Macron, decisamente più rappresentativo dei singoli capi o capetti. In effetti quel leader già esiste. Ad oggi non ha deciso di entrare in campo perché già lo amministra. Si chiama Mario Draghi. Deciderà se farlo o meno solo quando sarà necessario, con il suo solito pragmatismo.

Così è se vi pare.

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