Energia nucleare, la fusione è il futuro, ma quanti pregiudizi sulla fissione… - QdS

Energia nucleare, la fusione è il futuro, ma quanti pregiudizi sulla fissione…

Valerio Barghini

Energia nucleare, la fusione è il futuro, ma quanti pregiudizi sulla fissione…

Valerio Barghini  |
sabato 04 Marzo 2023

Intervista a Piero Martin, ordinario di Fisica sperimentale all’Università degli studi di Padova. “Centrali moderne sicure con sistemi che permettono di evitare anche errori umani”

MILANO – Per anni l’energia nucleare è stata associata alla fissione, cioè quel processo attraverso il quale il nucleo si divide in due frammenti: grazie ai neutroni si innesca una reazione a catena generando, in un reattore, attraverso turbine e alternatori, energia elettrica continua e costante. Un processo che, però, non ha goduto (e tutt’oggi non gode) di buona stampa. Ma la fissione nucleare è veramente una sorta di Idra di Lerna, il leggendario mostro a nove teste della tradizione mitologica greca e latina? Certo, di incidenti ce ne sono stati: basti citare, su tutti Cernobyl e Fukushima. “Ma si tratta di due eventi innanzitutto diversi, oltre che più unici che rari”. Ad affermarlo, il professor Piero Martin, ordinario di Fisica sperimentale all’Università di Padova che con il suo ateneo e il Consorzio Rfx, in collaborazione con Cnr, Enea e Infin, l’Istituto nazionale di fisica nucleare, sta lavorando ad un progetto per produrre energia elettrica con un processo nucleare alternativo alla fissione, la fusione.

“Un metodo, quello della fusione, che ha il pregio di essere sostanzialmente pulito, a differenza della fissione, dove esiste il problema di scorie che mantengono per molti anni elevati gradi di radioattività. Facile porre la domanda: ma allora perché gli scienziati non hanno realizzato fin da subito la fusione? Semplice: la fusione controllata è molto più difficile da realizzare della fissione e questo proprio perché è più sicura”.

Un argomento, quello del nucleare e delle centrali, che ciclicamente torna di attualità. Soprattutto in tempi di una guerra in cui uno dei fronti è occupato da una delle due Superpotenze che in un recente passato, proprio usando il grimaldello del nucleare in chiave bellica, hanno tenuto sotto scacco il mondo intero: la Russia. “Di certo è un tema a cui prestare la massima attenzione – prosegue il professor Martin -. In Europa, dalla fine del secondo conflitto mondiale, abbiamo vissuto decenni di pace e tranquillità. Basate, però, sul cosiddetto equilibrio del terrore: bastava che uno dei due, Unione Sovietica o Stati Uniti, schiacciasse un bottone e sarebbe stata l’Apocalisse. Una situazione che, però, ha contribuito a creare attorno alla sfera del nucleare quel clima di demonizzazione cui ci siamo assuefatti”.

Professor Martin, però Cernobyl e Fukushima sono una realtà.
“E nessuno lo nega. È giusto, però, rimettere al proprio posto tutti i tasselli del puzzle. Partiamo da Cernobyl, dove ha contribuito l’errore umano. Per rendere l’idea di cosa sia successo, ricorro a un esempio. Tutti noi sappiamo che i lavandini, oltre al buco collegato al tubo di scarico, ne hanno un altro verticale che serve per consentire il deflusso dell’acqua in caso di riempimento del lavandino stesso. Ovviamente, dovesse essere tappato e qualora dovessimo appunto gremire di acqua il lavabo, a un certo punto il liquido fuoriuscirà. A Cernobyl è successo qualcosa del genere, per la concomitanza di difetti di progettazione e di scelte sbagliate durante un test: è come se qualcuno avesse messo del nastro adesivo ai buchi verticali del lavandino. A Fukushima, invece, causa di tutto è stata la natura: una scossa di terremoto che ha sì fatto scattare i sistemi di sicurezza della centrale, che peraltro hanno perfettamente funzionato. Il problema lo ha provocato il successivo maremoto: le barriere antitsunami erano progettate per onde al massimo di dieci metri. Ne è sopraggiunta, però, una più alta, che ha generato un blackout e il blocco dei sistemi di raffreddamento”.

Parlando di conflitto Russia-Ucraina non si può non pensare a Zaporizzja.
“Le centrali moderne rispondono perfettamente a tutti i canoni di sicurezza e oggi ci sono sistemi passivi che permettono di evitare anche errori umani. Il problema è un altro: non si può combattere una guerra nei pressi di un complesso industriale di quelle dimensioni. E questo non vale solo per il nucleare. Cito il caso di Argo 16, l’aeromobile dell’Aeronautica Militare caduto nel 1973 mentre era in decollo dall’aeroporto di Venezia Tessera e precipitato, in linea d’aria, a circa un centinaio di metri dai depositi di fosgene di Porto Marghera. Se vi ci fosse finito sopra, probabilmente io, che all’epoca abitavo a Venezia, oggi non sarei qui a parlare con lei”.

In sintesi, dunque, attorno al nucleare si sono sviluppati negli anni pregiudizi, “che però hanno avuto come conseguenza – conclude il professor Martin – la perdita di importanti opportunità: pensiamo alla Francia, dove grazie alle centrali nucleari viene prodotto il circa il 70 per cento dell’energia elettrica del Paese. In Italia eravamo partiti anche bene, negli anni Sessanta. Poi lo stop con il referendum del 1987, sul cui esito una influenza l’ha indubbiamente avuta la catastrofe di Cernobyl. Oggi, se vogliamo affrontare seriamente l’emergenza climatica e liberarci dalle dipendenze dai combustibili fossili, occorre lavorare per un paniere energetico che senza pregiudizi sfrutti tutte le fonti libere da CO2”.

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