Fassino lo smilzo: “Abbiamo una banca” - QdS

Fassino lo smilzo: “Abbiamo una banca”

Carlo Alberto Tregua

Fassino lo smilzo: “Abbiamo una banca”

mercoledì 11 Agosto 2021

MPS/Alitalia/Ilva

Era il 31 dicembre del 2005 quando Piero Fassino al telefono con Giovanni Consorte, in occasione “dell’occupazione” del Partito Democratico del Monte dei Paschi di Siena, esclamò: “Abbiamo una banca”, come se il suo partito ne fosse diventato proprietario.

Ricordiamo questo episodio per sottolineare la mentalità del ceto politico, di tutte le istituzioni e delle loro derivate, come appunto banche, Rai, partecipate pubbliche, enti e associazioni, nei quali viene diffuso il sottopotere consistente nell’ottenere vantaggi attraverso tutti i propri galoppini che vengono inseriti nei posti di comando.

Quando alcuni miscredenti sostengono che lo Stato debba entrare nell’economia, dimenticano che l’economia ha le proprie regole, fondate sull’equilibrio dei costi e dei ricavi e quindi sul buon andamento gestionale che fa conseguire utili tassabili, cioé ricchezza, nuova occupazione e aumento del Pil.
La precedente sottolineatura non riguarda solo il Partito Democratico.

Nel 2008, ebbe lo stesso comportamento padronale Silvio Berlusconi, quando impedì l’acquisizione di Alitalia da parte di Air France-Klm, sostenendo la stupidaggine di avere una compagnia nazionale in un mercato che ormai si apriva alle low cost e quindi ad una concorrenza efficiente e di alta capacità gestionale.

Il comportamento di Berlusconi ha implicato che quella compagnia di bandiera costasse fino ad oggi quasi dodici miliardi, a prescindere dal colore politico dei governi che si sono succeduti a quello di Berlusconi.
Lo stesso errore hanno compiuto i governi Conte uno e Conte due nell’infilarsi con una quota di maggioranza – attraverso Invitalia – nel capitale sociale dell’ex Ilva, poi gestita da ArcelorMittal. Col settanta per cento del capitale, Invitalia dovrebbe saper gestire un’industria dell’acciaio difficile, che in quel territorio prevede un piano di risanamento ambientale formidabile, per il quale ci vogliono risorse elevate e capacità imprenditoriali fuori dall’ordinario.

Dati i precedenti, non possiamo che prevedere un’altra iniziativa mangiasoldi dei cittadini, che non sarà capace di raggiungere gli obiettivi di risanamento e buona gestione.

Per fortuna che c’è l’Unione Europea, la quale, a suo tempo, quando il governo presieduto da Paolo Gentiloni acquistò il Monte dei Paschi, concesse l’autorizzazione a condizione che entro dicembre 2021 esso fosse restituito al mercato. La scadenza è prossima ed il governo Draghi non potrà che ottemperare, volente o nolente. Perciò, la Banca più antica d’Italia, essendo stata fondata nel 1472, dovrà essere scorporata dalla “proprietà” del Partito Democratico ed essere venduta al più probabile acquirente che è Unicredit.

C’è un ma: l’Istituto indicato non intende riprendersi il Mps zavorrato da Npl (Non Performing Loans), cioè crediti decotti. Per cui è disponibile ad acquistare tutte le attività, il marchio, una parte consistente delle filiali e lasciare la zavorra allo Stato, che quindi continuerà a perdere soldi in una situazione deficitaria.
In ogni caso, il dado è tratto e la soluzione prospettata non potrà essere evitata in nessun modo.

Dunque, per fortuna che c’è l’Unione Europea, la quale, anche nel caso dell’Alitalia, ha steso una rete impenetrabile, per cui la nuova compagnia, interamente posseduta dal Ministero dell’Economia e Finanze, cioé Ita Spa (Italia Trasporto Aereo), non potrà avere automaticamente la denominazione di Alitalia, il cui marchio verrà messo all’asta dalla società in amministrazione straordinaria; non potrà avere il pacchetto mille miglia; non potrà avere più di una cinquantina di aerei, contro il doppio di Alitalia; non potrà avere più di tremila dipendenti, contro gli undicimila attuali della vecchia compagnia.

Dal 15 di ottobre, Ita Spa dovrebbe fare partire l’attività dei voli con il programma di chiudere il primo bilancio in pareggio e, nei successivi, in utile. D’altro canto, non si capisce perché Ryanair, Easyjet ed altre compagnie ben gestite guadagnino (ovviamente non nel periodo Covid-19) ed Ita non dovrebbe guadagnare altrettanto.
Il rientro nella normalità, anche in questo versante, è indispensabile per rimettere a posto gli equilibri economici del Paese, fra pubblico e privato.

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