Accuse a ex sindaco Niscemi vicino a Cosa nostra

Fuoco alla casa del rivale in amore, le accuse all’ex sindaco di Niscemi vicino a Cosa nostra

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Fuoco alla casa del rivale in amore, le accuse all’ex sindaco di Niscemi vicino a Cosa nostra

Simone Olivelli  |
venerdì 22 Dicembre 2023

Gli inquirenti considerano Paolo Rizzo, ex primo cittadino del comune nisseno, “il tessitore dei contatti e dei rapporti tra l'amministrazione comunale e la criminalità organizzata"

Un uomo passa e ripassa davanti a una casa di campagna, poi torna in paese, trascorre un po’ di tempo per le vie del centro facendosi inquadrare dalle telecamere, e infine, quando è ormai sera inoltrata, ritorna davanti all’abitazione e la trova a fuoco. Il colore giallo della facciata annerito dal fumo. I pompieri che lavorano per limitare i danni e arginare il pericolo: l’incendio, infatti, è partito dalla cucina e c’è il rischio che entri in contatto con il gas. Quell’uomo, secondo la Dda di Caltanissetta, è il mandante del rogo, si chiama Paolo Rizzo ed è l’ex sindaco.

Cosa nostra fonte d’ispirazione

Tra le tante storie che testimoniano le difficoltà di garantire il controllo del territorio a Niscemi, ce n’è una in cui Cosa nostra fa soltanto da sfondo e fonte d’ispirazione: il presunto boss Alberto Musto, oggi 37 anni ma un tempo ragazzo introverso, si ritrova a fare da spalla, lasciando la ribalta criminale a colui che ,una trentina di anni fa, di Niscemi fu il primo cittadino.

Rizzo, di professione medico, è finito in carcere con l’accusa di avere architettato l’incendio della casa di campagna del proprio rivale in amore. Una relazione che nell’ordinanza di custodia cautelare è raccontata anche tramite i pettegolezzi di paese ma che, per quel concerne la sfera penale, ha rilevanza soltanto nel riconoscere l’aggravante dei “futili motivi” che va ad accostarsi a quella di avere agito con modalità mafiose. Talmente simili che il destinatario dell’intimidazione, all’indomani dei fatti, corre da Musto per cercare di capirne di più: “Un mare di danni, è entrato il fuoco in casa”.

La stima dei fratelli Musto

“Come la vedi?” “A posto”. Starebbe in questo passaggio, a metà tra una richiesta di autorizzazione e la ricerca di un parere da chi è ferrato in materia, l’intervento della cosca niscemese nel proposito di Rizzo di farla pagare all’uomo che continuava a frequentare la donna con cui il medico portava avanti una relazione più o meno alla luce del sole. A dire il vero Rizzo avrebbe chiesto anche una conferma riguardante l’immobile da colpire, se fosse realmente quello con la facciata di colore giallo, ma per il resto avrebbe fatto da sé e con il probabile aiuto di complici al momento non identificati. “Giova sottolineare – ha scritto la gip Graziella Luparello – come la sproporzione tra la gravità del fatto commesso e l’affronto che si voleva emendare è tale che la logica ad essa sottesa non può che attingere alla sottocultura mafiosa cui Rizzo è evidentemente contiguo”.

Tesi a cui specularmente fanno eco le parole dei fratellii Musto. Albero, il capo, e Sergio, braccio destro anche lui arrestato, all’indomani del rogo commentano il fatto: “È andato a farlo lui, come nel passato, altre cose le ha fatte anche lui personalmente”, è la frase intercettata dagli investigatori, con i Musto che sostengono che Rizzo non sarebbe nuovo ad azioni criminali.

Parentela pesante e scia di sospetti

Per chi non conosce la realtà niscemese, chiedersi cosa abbia portato Rizzo ad avere a che fare da vicino con Musto è inevitabile. La risposta non va cercata soltanto nella particolare realtà del centro nisseno, dove a essere avvicinabili dalla criminalità organizzata sono risultati anche alcuni esponenti delle forze dell’ordine, ma anche nel passato del medico 69enne. L’esperienza da sindaco di Rizzo, a cavallo tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, fu interrotta per intervento del ministero degli Interni che dispose lo scioglimento del consiglio comunale per infiltrazioni. Una misura quantomeno pertinente se si considera che a sedere tra gli scranni dell’aula consiliare era Giancarlo Giugno, uomo d’onore di Cosa nostra eletto nelle file dell’Movimento sociale italiano e poi transitato nella Democrazia Cristiana, il partito di Rizzo.

Tessitore di contatti

Ma il legame tra Giugno – definito dal collaboratore di giustizia Carmelo Barbieri “colletto bianco della mafia” e Rizzo andava oltre le appartenenze politiche. I due, infatti, sono cognati. Rapporto di parentela uguale a quello che Rizzo ha con il figlio di Angelo Paternò, storico esponente di Cosa nostra a Niscemi. Il profilo del medico e la sua contiguità agli ambienti mafiosi locali è riassunto nel profilo tracciato dagli inquirenti, che lo considerano “il tessitore dei contatti e dei rapporti tra l’amministrazione comunale e la criminalità organizzata […] Durante la sindacatura di Rizzo si realizzarono numerose opere pubbliche commissionate a imprese vicine a Cosa nostra”. Rapporti che nel corso degli anni sono stati confermati da diversi collaboratori di giustizia e che hanno trovato conferma nelle attività d’indagine degli anni passati. Fino all’inchiesta di questi giorni, dove Rizzo si è messo in evidenza con una spregiudicatezza tale da portare uno dei fratelli Musto ad affermare: “Solo noi siamo così”.

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