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I partiti di maggioranza litigano dal primo giorno: che si sono sposati a fare?

Accursio Sabella

I partiti di maggioranza litigano dal primo giorno: che si sono sposati a fare?

mercoledì 08 Marzo 2023

La vicenda dei precari Covid è solo l'ultimo capitolo. In quattro mesi, tante liti tra alleati.

E adesso la domanda è una: che si sono sposati a fare? Si parla dei partiti che formano questa maggioranza di governo che già balbetta, litiga, incespica, minaccia e reclama. Sempre e solo contro se stessa. Sempre e solo attorno alla stessa tavola.

Che si sono sposati a fare, se l’esito è questo? Schifani manda avanti i suoi, sull’affaire precari del Covid, a invitare gli amici-nemici di Fratelli d’Italia a fare un bagno di realtà: “Qui c’è un buco nella Sanità, come potete parlare di assunzioni?”. E già che ci sono, però, ecco l’avvertimento: “A rischio la tenuta della maggioranza”. Che amplissima non è. E che di scossoni ne ha già ricevuti.

È stato mediaticamente archiviato il cosiddetto “caso Cannes”, nonostante una rotazione di assessori per la quale Crocetta – campione europeo di rimpasti – avrebbe subito contumelie assortite. Il balletto dell’ipocrisia, che sposta un meloniano al posto di una meloniana e viceversa per spazzare il campo dai dubbi sulla gestione dei meloniani quando erano di fede musumeciana. Schifani ha abbozzato ed è andato avanti. Nonostante gli schiaffi provenienti da Roma, da dove persino si cavillava: quando è stato firmato il secondo maxi-pagamento, Manlio Messina non c’era più e Francesco Paolo Scarpinato non c’era ancora. Insomma, vuoi vedere che alla fine, i finanziamenti a Cannes erano cari al governatore?

La realtà ovviamente dice altro. Ma nonostante questo, si è andati avanti come se nulla fosse accaduto. Poi è arrivato il tema del terzo mandato dei sindaci e anche della data delle elezioni amministrative. E vai di nuovo di litigate, che hanno portato allo stop della norma che deroga al numero massimo di sindacature nei Comuni più piccoli e l’abbandono dell’idea di celebrare un “election day”, facendo coincidere la date delle consultazioni comunali siciliane con quelle del resto d’Italia, così come auspicato, pare, dallo stesso Schifani. Lo stesso Schifani che si accorge di alcune autorizzazioni arrivate dal suo governo per le energie rinnovabili ed è costretto a stoppare l’operazione.

Capitolo a parte, il western, anzi il film storico che vede protagonisti Gianfranco Micciché e Renato Schifani. Il primo a definire il governatore “traditore come Bruto, ma le piazze le dedicano a Giulio Cesare”, e l’altro nel frattempo impegnato a soffiargli tutti i deputati fino a ribattezzarlo “coordinatore di se stesso”.

Prima ancora, Micciché aveva battibeccato con Gaetano Galvagno: il presidente dell’Ars ha negato al gruppo di Forza Italia (Forza Italia uno, non Forza Italia due che si era formata nel frattempo a conferma della solidità della compagine azzurra), si diceva che Galvagno ha negato la deroga al numero dei deputati necessari per formare un gruppo parlamentare. Uno “schiaffo” a Micciché effettivamente incomprensibile, se si pensa che in passato la deroga era stata data – da Micciché – anche a gruppi formati poco più che da un deputato e la sua ombra.

Acque agitate, ma niente al confronto di quanto accaduto con i precari Covid. E l’intensità della lite si è impennata in maniera direttamente proporzionale al potenziale bacino elettorale rappresentato dai precari. Migliaia di lavoratori tirati dentro con un “click day” e ai quali qualcuno ha fatto intendere che quello bastasse per essere assunto, di protesta in protesta, in una pubblica amministrazione.

E così, ecco nell’ordine: Fratelli d’Italia che a Roma sbandiera una norma che aprirebbe alle proroghe anche per gli amministrativi, il governo Schifani che dice che no non si può, la senatrice Ternullo di Forza Italia (cioè il partito di Schifani) che giudica incomprensibile la posizione del governo regionale, Forza Italia (cioè il partito della Ternullo) che parla di “fumo negli occhi” dei precari e di “rischio tenuta maggioranza”, Fratelli d’Italia che nel frattempo ha presentato una risoluzione per impegnare il governo (lo stesso di cui fa parte) a prorogare i precari senza avvertire il governo (sempre quello di cui fa parte).

E siamo solo a quattro mesi di governo. Quattro mesi di liti così frequenti da non lasciare spazio nemmeno alle opposizioni, sempre più afone, forse persino stupite, prese in contropiede da tanto caos.

Certo, in tempi crocettiani saremmo già al dodicesimo assessore. Qui, tutto sommato, ci siamo accontentati finora di un cambio di poltrona in dodici ore. Ma se l’inizio del rapporto è questo, la domanda può essere solo una: che si sono sposati a fare?

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