Infrastrutture, la Repubblica dei “gamberi”. Per costruirle serve più tempo di 70 anni fa - QdS

Infrastrutture, la Repubblica dei “gamberi”. Per costruirle serve più tempo di 70 anni fa

Elettra Vitale

Infrastrutture, la Repubblica dei “gamberi”. Per costruirle serve più tempo di 70 anni fa

sabato 24 Dicembre 2022

L’autostrada del Sole realizzata al ritmo di 100 km all’anno, mentre per la Ragusa-Catania sono stati previsti circa 20 km all’anno. Lupoi (Oice): "Oggi più procedure di sicurezza"

ROMA – Era il lontano 19 maggio 1956 quando a San Donato Milanese, alla presenza dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, è stata posata la prima pietra che avrebbe dato il via alla costruzione della prima spina dorsale autostradale italiana, l’A1 conosciuta meglio come “Autostrada del Sole”. Neanche otto anni dopo, nel 1964, la rete viaria di 764 km tra Milano e Napoli viene inaugurata alla presenza di Aldo Moro. Un’infrastruttura che ha previsto un investimento dello Stato di ben 100 miliardi lire per realizzare 113 ponti e viadotti, 572 cavalcavia, 38 gallerie e 57 raccordi.

Cinquantotto anni dopo, in Sicilia, è finalmente alle porte la costruzione della Ragusa-Catania, a firma Anas (gruppo Fs Italiane), una delle opere isolane più nominate degli ultimi tempi e che aspetta la sua prima posa da oltre 30 anni. È prevista la costruzione di 69 km di autostrada che interesserà le Province di Ragusa, Catania, Siracusa e i comuni di Ragusa, Chiaramonte Gulfi, Licodia Eubea, Vizzini, Francofonte, Lentini e Carlentini. In questo modo Ragusa potrà finalmente essere adeguatamente collegata con le metropoli etnea e messinese e, allo stesso tempo, con i centri urbani dell’entroterra. Il progetto prevede l’ammodernamento a quattro corsie delle attuali strade statali 514 (per circa 39 km) e 194 (per circa 29 km). Stando al programma Anas, lungo il tracciato è prevista la realizzazione di “11 viadotti per un’estesa complessiva pari a oltre 2,3 km per carreggiata, di una galleria naturale a doppia canna da 800 metri, di un attraversamento ferroviario” e di 10 svincoli.

Conti alla mano, si parla di un investimento da 1 miliardo e 237 milioni di euro e, anche stavolta, la crisi connessa alla guerra russo-ucraina “sembra averci messo lo zampino”. Nel precedente bando pubblicato da Anas, infatti, erano previsti circa 700 milioni per la messa in funzione dell’opera pubblica, quasi la metà di quelli attualmente stanziati. I rincari delle materie prime connesse al conflitto, hanno costretto l’azienda nazionale a ripubblicare il bando per la realizzazione dei lavori lo scorso 10 agosto in Gazzetta Ufficiale. Proprio un paio di settimane fa la notizia tanto attesa: l’Anas ha pubblicato le graduatorie delle offerte per i bandi di gara dei quattro lotti esecutivi nei quali si articola il progetto. Lo start dei lavori è sempre più vicino e, forse, Giancarlo Cancelleri, l’ex sottosegretario al ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili che a marzo aveva dichiarato con entusiasmo “entro l’anno dobbiamo assolutamente cominciare i lavori!” ci ha quasi azzeccato.

L’anno nuovo è ormai alle porte e tutte le carte sembrano essere in ordine per far ben sperare sulla fine di un’epopea che ha lasciato sconnessa la provincia iblea per decenni. A preoccupare, in verità, sono i tempi previsti per il completamento dei lavori. “Nulla di nuovo all’orizzonte” potrebbe obiettare qualcuno, se si considera che per la Salerno Reggio Calabria di anni ce ne sono voluti 55.

Come si legge nel documento, infatti, “i lotti 1 e 3 prevedono una durata per la realizzazione pari a 1095 giorni, comprensivi di 195 giorni per andamento stagionale sfavorevole, mentre i lotti 2 e 4 prevedono una durata di 1280 giorni, comprensivi di 225 giorni per andamento stagionale sfavorevole”. Senza bisogno di fare grandi calcoli è facile intuire che si parla di circa 3 anni e mezzo per completare l’opera nella sua interezza, ovvero appena 20 km l’anno, circa il 20% dei 100 km annui costruiti per l’autostrada del Sole. Eppure all’epoca il nostro Paese si stava rialzando da una crisi senza pari, quella post-guerra mondiale.

“Quello che l’Italia è riuscita a realizzare nel dopoguerra è incredibile, chiaramente a scapito della sicurezza in alcuni casi – ha dichiarato al QdS Giorgio Lupoi, presidente nazionale di Oice (Associazione organizzazioni italiane di ingegneria, architettura e consulenza tecnico-economica) – e con un impegno del sistema Paese e della forza lavoro dalle notevoli dimensioni. È chiaro che le attuali procedure di sicurezza di oggi, nonostante le nuove tecnologie, costituiscono una fonte di rallentamento delle attività contemporanee nel settore. Se, però, già riuscissimo a mantenere le tempistiche previste sulla carta nei contratti di affidamento dei lavori di opere pubbliche sarebbe già comunque un ottimo risultato. Il problema è che spesso, ad esempio, i quattro anni inizialmente preventivati finiscono per diventare otto, se non dieci per le infrastrutture del nostro Paese e, purtroppo, in Sicilia vi sono diversi esempi al riguardo”.

A rendere farraginose le procedure è, in alcuni casi è l’attuale Codice degli appalti che fa riferimento al D.lgs. n. 50/2016 che, tra progettazione, approvazione e controlli, rallenta l’avvio dei lavori. Come sottolinea Lupoi “la normativa attualmente in vigore che regola gli appalti pubblici ha sicuramente delle lungaggini implicite ma il vero problema riguarda soprattutto la sezione che concerne la selezione dell’operatore economico. Abbiamo un po’ perso la capacità nel controllo dell’esecuzione delle opere e quindi spesso i progetti non sono perfettamente in ordine, le imprese non sono adeguatamente organizzate così come le criticità che emergono in corso d’opera, che possono capitare, non vengono affrontate con la forza e l’impegno necessario per portare l’opera a compimento rispetto ai tempi precedentemente prefissati. Non è, dunque, solo una questione di controllo ma anche di supporto. Quando si verifica un problema tutti gli attori coinvolti, quali la stazione appaltante, l’impresa e il direttore dei lavori collaborano in comunione d’intenti per risolverlo ma può succedere che le istituzioni coinvolte non rispondano adeguatamente. Prendiamo l’esempio di una necessità di revisione al rialzo dei precedenti costi previsti, capita che non vi sia la velocità necessaria nelle risposte a quanto richiesto e, dunque, è più facile che un’opera si blocchi perché non vi è tempestività da parte delle Pubbliche amministrazioni nell’individuare e supportare le soluzioni migliori affinché il lavoro riparta in tempi brevissimi”.

Forse, ancora una volta dovremmo prendere esempio da paesi europei all’avanguardia che per scongiurare tempistiche dilatate e complicazioni connesse alla comunicazione tra privati e Pubblica amministrazione, hanno messo in campo la figura professionale del construction manager che, come sottolinea il presidente – “si occupa di affiancare le Pubbliche amministrazione per coadiuvarle nell’individuare le soluzioni più veloci ed efficaci lungo tutto l’iter progettuale e di affidamento dei lavori”.

Qualche speranza per imprimere uno slancio alle infrastrutture pubbliche sembra avanzare timidamente con la nuova riforma al Codice degli appalti che, giusto lo scorso 18 dicembre, è stata approvata in via preliminare dal Cdm presieduto da Giorgia Meloni. “La proposta di ridurre i livelli di progettazione da tre a due rappresenta una possibilità di contrazione delle tempistiche – evidenzia il numero uno Oice – perché prevede di concentrare tutte le autorizzazioni necessarie alla fine del primo livello in un unico momento. Proprio queste ultime, infatti, rappresentano il periodo più lungo per un’opera pubblica e non il progetto in sé”.

Eppure non mancano alcune criticità che andrebbero discusse al tavolo di confronto tra Governo e professionisti del settore che, più di tutti, conoscono le dinamiche e le problematiche intriseche alla questione. Infatti, se è vero che “questo codice favorisce l’impresa che svolge con il progettista tutte le fasi del progetto, allo stesso tempo, non la obbliga ad assolvere a questo compito” come dichiara Lupoi.

“Noi come Oice, infatti, ci batteremo molto su questo punto. Crediamo, infatti, che non sia questa la via per velocizzare il processo generale perché se un progettista è chiamato a svolgere la prima fase del progetto, sarà proprio lui a poter garantire la progettazione definitiva nel minor tempo possibile rispetto a un soggetto diverso che non lo conosce altrettanto bene. A tal proposito riteniamo che sia più opportuno affidare solo la parte esecutiva alle imprese, sebbene questa sia una scelta che fa capo alle amministrazioni di riferimento. Allo stesso tempo, va sottolineato che il progettista che lavora in seno alla Pubblica amministrazione committente garantirà meglio, per così dire, gli interessi della stessa perché più vicina e ne conosce meglio gli interessi. In buona sostanza si tratta di una procedura più veloce ed efficiente, specie con il supporto dei professionisti del project e construction management precedentemente citati”.

“Anni fa non era necessario ricorrere a queste figure perché le Pa disponevano di un sufficiente numero di tecnici che, tra l’altro, erano attivamente coinvolti in numerosi lavori e quindi possedevano le conoscenze e le competenze tipiche di chi ha fatto esperienza sul campo – conclude -. Una volta che sono state notevolmente ridotte le risorse professionali presenti negli uffici tecnici delle varie amministrazioni e avendo realizzato poco negli ultimi anni, diventa necessario ricorrere a professionisti esterni. Il risultato è che, date queste premesse, non si tratta più di una libera scelta quanto piuttosto di una vera e propria necessità”.

CANTIERE AUTOSTRADALE LAVORI IN CORSO OPERAI OPERAIO PAVIMENTAZIONE STADALE PONTE

Ma ora il Governo punta a snellire il Codice Appalti

“Un volano per il rilancio della crescita economica e l’ammodernamento infrastrutturale della Nazione”: ha commentato così la premier Giorgia Meloni il via libera “preliminare” da parte del Cdm, lo scorso 16 dicembre, allo schema della riforma del Codice degli appalti pubblici che sarà operativa dal prossimo 1 aprile dell’anno alle porte. Diverse le novità introdotte, espletate nei 230 articoli che compongono il testo, le quali partono da due fondamentali principi, espressi già nei primi due punti della normativa: il “principio del risultato” e quello “della fiducia”.
Con il primo ci si riferisce al fatto che è interesse primario, sia delle stazioni appaltanti che degli enti concedenti, di realizzare i lavori previsti con “la massima tempestività e il migliore rapporto tra qualità e prezzo nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza”.

Nel secondo caso, strettamente connesso al primo, si sottolinea l’importanza della “reciproca fiducia nell’azione legittima, trasparente e corretta dell’amministrazione, dei suoi funzionari e degli operatori economici”. In buona sostanza procedure più veloci e trasparenti in nome del bene collettivo.

Un primo aspetto pratico introdotto dal nuovo Codice riguarda la digitalizzazione sia in termini di accesso agli atti che riguardano i contratti pubblici che nello svolgimento delle procedure di affidamento e di esecuzione dei lavori, tutti dati che possono essere richiesti da ogni singolo cittadino. Per accorciare i tempi, poi, si parla di prevedere la riduzione dei termini per la progettazione e l’istituzione da parte del Consiglio superiore dei lavori pubblici di un comitato speciale appositamente dedicato all’esame di tali progetti.

Un terzo elemento di novità importante, riguarda l’appalto integrato: il contratto potrà quindi avere come oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvato. Viene poi reintrodotto l’elemento del “general contractor”: l’operatore economico “è tenuto a perseguire un risultato amministrativo mediante le prestazioni professionali e specialistiche previste, in cambio di un corrispettivo determinato in relazione al risultato ottenuto e alla attività normalmente necessaria per ottenerlo”.

Nell’ottica dello snellimento delle procedure si prevede una semplificazione del quadro normativo per facilitare l’accesso degli investitori alle gare d’appalto e nei settori speciali (ferrovie, aeroporti, gas, luce) si prevede una maggiore flessibilità, prevedendo la possibilità per le stazioni appaltanti di determinare le dimensioni dell’oggetto dell’appalto e dei lotti in cui eventualmente suddividerlo. Parlando di costi, inoltre, il nuovo codice sancisce che nell’ambito della revisione dei prezzi, è confermato l’obbligo di inserimento delle clausole di revisione prezzi al verificarsi di una variazione del costo superiore alla soglia del 5 per cento”.

Infine, tra le tante, un’altra novità nell’ambito governance riguarda il rafforzamento delle funzioni di vigilanza e sanzionatorie dell’Anac tramite il riordino delle competenze dell’Autorità stessa.

Fabio Finocchiaro

Intervista a Fabio Finocchiaro, direttore delle Politiche comunitarie e fondi strutturali al Comune di Catania

CATANIA – Come anticipato, lo scorso 16 dicembre il Consiglio dei ministri ha approvato “in via preliminare” un decreto legislativo di riforma del Codice dei contratti pubblici, in attuazione dell’articolo 1 della Legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici, che dovrebbe entrare in vigore dall’1 aprile 2023. Attualmente, però, a regolare le opere approvate e destinate ai lavori è il Decreto legislativo n.50 del 18 aprile 2016. Abbiamo cercato di ricostruirne le linee guida con chi ogni giorno “mette le mani in pasta” nelle suddette procedure, proprio come l’ingegnere Fabio Finocchiaro, direttore delle Politiche Comunitarie e fondi strutturali, Politiche energetiche e sport del Comune di Catania.

Dottor Finocchiaro, ci può dare una mano a ricostruire nel dettaglio il percorso che porta dalla nascita alla consegna di un’opera pubblica? Quali sono gli step fondamentali?
“Facendo riferimento al codice degli appalti che è attualmente in corso, va sottolineato che l’iter è molto complesso e molto lungo. Volendo ricostruirne la genesi, va detto che un’opera pubblica, quando vede la sua nascita, va innanzitutto inserita in un documento specifico che, nel caso dei Comuni viene definito ‘Piano triennale delle opere pubbliche’, di cui ogni ente dispone, mentre per lavori di carattere nazionale prende il nome di ‘Programmazione triennale dei lavori pubblici’. Nel primo caso, ovvero quando a occuparsene è un comune, una città metropolitana o la Regione, sono previste delle caratteristiche specifiche. Un lavoro di questo tipo deve avere un documento delle alternative progettuali che è il punto di partenza, il quale viene approvato dalle amministrazioni. A questo punto viene inserito nel piano triennale di cui parlavamo prima ed è necessario reperire il finanziamento necessario. Una volta fatto questo, viene inserito nell’elenco annuale delle opere che è necessario realizzare e si passa così alla fase progettuale. Quest’ultima prevede fondamentalmente tre step: lo studio di fattibilità tecnico-economico, il progetto definitivo e il progetto esecutivo. Per poter andare in gara, l’intervento programmato deve aver raggiunto questa ultima fase e quindi l’amministrazione ha due opzioni. Può scegliere di realizzarlo all’interno, ovvero avvalendosi di propri tecnici per tutti e tre i passaggi ognuno dei quali, una volta completato, deve essere approvato dall’organo deliberante di riferimento. Ottenuto il progetto esecutivo, quest’ultimo deve essere verificato da enti terzi, ovvero organismi che lo passano al vaglio e lo certificano e solo adesso il lavoro può essere cantierato. È arrivato quindi il momento della gara d’appalto e si affidano i lavori con annesso contratto che prevede tempi e costi. Si passa dunque alla parte esecutiva delle opere, al collaudo tecnico amministrativo delle stesse per poi essere consegnate ai fruitori. In alcuni casi particolari, come la Ragusa-Catania, l’ente promotore del progetto (l’Anas in questo caso) deve anche preliminarmente provvedere agli espropri dei terreni privati coinvolti nel territorio soggetto a lavori”.

Chi si occupa di verificare che costi e tempistiche vengano rispettate come previsto dall’azienda che si aggiudica i lavori?
“I tempi e le modalità sono già specificamente indicati nel contratto siglato e tutti i relativi dati vengono resi pubblici. Nel caso in cui l’azienda non si riesca a rispettare quanto previsto dal suddetto accordo, il direttore dei lavori deve anzitutto giustificare le reali motivazioni che lo spingono a chiedere un’eventuale proroga. A monitorare tutto questo processo è la piattaforma Simog (Sistema informativo monitoraggio gare) gestita dall’Anac, ovvero l’Autorità nazionale anticorruzione. L’ente in questione, specie nel caso di appalti importanti, quando ci sono sospensioni, proroghe o ritardi dei lavori rispetto a quanto previsto da contratto, avvia delle verifiche. In linea di massima è chiaro che essendo atti pubblici potrebbero esservi altri controlli come, per esempio, da parte della magistratura o anche tramite segnalazione di aziende private o singoli cittadini. In questo momento in Italia, però, vi è una criticità importante che riguarda le tempistiche relative agli appalti, che in alcuni casi arrivano addirittura a 20 anni”.

Partendo da questa riflessione, come ci spieghiamo queste lungaggini in alcuni casi?
“Sicuramente una prima causa dei ritardi delle tempistiche di realizzazione e consegna di un’opera pubblica è connessa alla qualità del progetto di riferimento. Se quest’ultimo è completo in ogni sua parte e rispondente alle esigenze i lavori potranno scorrere in maniera più fluida e i tempi si accorciano notevolmente. Alle spalle di un iter veloce vi è un progetto preciso. Va aggiunto che oggi gli interventi pubblici più importanti, anche nel caso di enti comunali e città metropolitane, vengono realizzati tramite l’utilizzo di fondi europei. L’Europa, che realizza un controllo di primo e di secondo livello di tutte le procedure, non è per niente favorevole (salvo casi eccezionali) alle sospensioni, alle proroghe e alle perizie di variante in aumento proprio perché al momento di redigere il progetto deve essere tutto meticolosamente quantificato. Tutto ciò che, invece, interviene dopo viene considerato un danno erariale: per farla semplice, se il Comune prevede una spesa di 10 milioni e poi è costretta a uscirne 12, si tratta di un danno per l’ente coinvolto. In buona sostanza, quello dei tempi dilatati e dei costi al rialzo è una pratica tutta italiana che, per così dire, è malvista dall’Europa. Infine, non bisogna dimenticare che se un’azienda si è aggiudicata i lavori perché ha garantito di realizzare i lavori in tre anni rispetto a un’altra che ne programmati quattro, se la prima poi richiede un anno di proroga finisce per arrivare alle stesse tempistiche previste dalla seconda. Questo rischia di andare contro i principi della concorrenza leale e non discriminazione, che sono alcuni dei principi europei cardine che regolano le gare d’appalto”.

Un parere “al volo” sul nuovo codice appalti che dovrebbe essere operativo dal prossimo 1 aprile 2023?
“Da una prima velocissima lettura delle informazioni al riguardo posso dire che, secondo me, si è cercato di risolvere il problema non tanto sotto il profilo strutturale quanto piuttosto sulla semplificazione. Per esempio, uno degli elementi fondamentali introdotto dalla nuova normativa riguarda l’appalto integrato. Quest’ultima è una formula già attualmente esistente, la quale prevede che, se vi è un progetto definitivo ma non quello esecutivo, si può comunque procedere con la gara d’appalto e l’ente può chiedere all’appaltatore che si aggiudica i lavori di occuparsi del secondo. In questo modo vi è comunque almeno un definitivo che indica delle linee guida ben chiare. Con la riforma, invece, il Comune può presentare lo studio di fattibilità e affidare all’azienda vincitrice non solo l’esecutivo ma anche la fase definitiva. Questo solleva delle perplessità perché spesso gli studi di fattibilità sono degli orientamenti di massima e, dunque, affidarne in toto le restanti fasi potrebbe far emergere delle criticità. Viene meno, dunque, il controllo di costi, esecuzioni di lavori e, in alcuni casi, ne potrebbe risentire anche la qualità dell’opera consegnata”.

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