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Intervista a Lia Sava, procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo

redazione

Intervista a Lia Sava, procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo

Roberto Greco  |
mercoledì 19 Luglio 2023

“Abbiamo ancora bisogno della verità, di mettere assieme tutti i tasselli di quella stagione tragica”

Lia Sava è oggi Procuratore generale presso la Corte d’appello di Palermo. Come Procuratore generale di Caltanissetta ha seguito il processo ‘Borsellino quater’. Il QdS l’ha intervistata per parlare di quanto sia necessario fare oggi per onorare Falcone e Borsellino.

Procuratrice, sono passati 31 anni dalle stragi del ’92. Gli iter processuali che hanno riguardato le due stragi sono durati tanto tempo, forse troppo. Alcune verità sono state svelate solo pochi anni fa, quando abbiamo avuto le sentenze definitive. Abbiamo, però, ancora bisogno di definire meglio, queste verità…
“Assolutamente. Abbiamo ancora bisogno della verità, di mettere assieme tutti i tasselli di quella stagione tragica. È un dovere giuridico, per noi magistrati, ma è anche un dovere etico. Occorrono risposte che dobbiamo alle vittime, ai loro familiari, ai giovani, a quelli che verranno dopo di noi. Una democrazia è compiuta solo quando tutte le risposte vengono date ed ogni aspetto, anche delle verità più recondite, diviene conoscibile. Io ho assoluta fiducia che, anche prendendo le mosse dalle ultime sentenze, e non solo da quelle che riguardano la Sicilia ma anche altri contesti nazionali, grazie alla capacità analitica e di guida della Direzione Nazionale Antimafia ed Antiterrorismo, sarà possibile raggiungerla quella verità. Peraltro, attività di Commissioni Parlamentari d’Inchiesta ad hoc potrebbero essere di ausilio per una ricostruzione finalmente olistica della stagione stragista”.

A proposito di risposte, anche per rendere onore a quanti, in quella stagione tragica, hanno perso la loro vita non sarebbe il momento di iniziare a “curare” questa società?
“Qualche giorno fa leggevo alcuni scritti del Prefetto dalla Chiesa. In particolare, nel corso di un suo incontro con gli studenti di un liceo palermitano, cui parlò in quei suoi ‘100 giorni a Palermo’, affermò che occorre prendersi per mano, come società civile in tutte le sue componenti, per fare assieme il salto etico indispensabile per sconfiggere le mafie. Parole che, in quel momento, erano per lui un programma ma che oggi rappresentano il suo straordinario testamento. Ebbene, a mio parere il salto etico possiamo farlo solo se iniziamo a prenderci cura degli ultimi. Questo vuol dire che, da un lato, magistrati e forze dell’ordine devono svolgere strenuamente i loro compiti istituzionali ma non possono essere lasciati soli. Che significa? Significa che se per sconfiggere il crimine organizzato occorre anche provare a sconfiggere la povertà. Occorre che ci si prenda cura dei poveri, degli ultimi, di quanti hanno fame, dando risposte concrete. Ci sono persone, soprattutto bambini che, in questa città di Palermo, non hanno da mangiare. E proprio gli indigenti, gli emarginati, hanno maggiori probabilità di diventare i mafiosi di domani perché c’è il rischio concreto che aderiscano all’offerta deviante del crimine organizzato”.

Procuratrice, lei aveva già puntato il dito verso questo problema sia nel suo discorso in occasione della cerimonia del suo insediamento sia in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario. Sta indicando che sia necessaria un’osmosi tra tutti per poter affrontare e risolvere il problema?
“Quando, un anno e tre mesi fa m’insediai, dissi e chiesi ‘attenzione per gli ultimi’. Questo richiede, come dice lei, un’osmosi tra tutte le istituzioni e la società civile. Le faccio un esempio. Quando partecipiamo agli incontri nelle scuole, soprattutto, ma non solo, nei quartieri a rischio, cerchiamo di far capire che carabinieri, poliziotti e finanzieri non sono degli ‘sbirri’, ma sono coloro in grado d’aiutarci in concreto perché garantiscono la sicurezza sociale. Sinergia e osmosi sono alla base dei ‘tavoli’ aperti in prefettura, riguardanti il contrasto alla tragica diffusione del crack in città, che sta bruciando il corpo e l’anima di ampie fasce di giovani, quelli che dovrebbero essere il futuro del nostro paese. Esempio di attenzione concreta agli ultimi sono, altresì, i sacerdoti coraggiosi che cercano a Palermo di seguire il modello di Padre Puglisi, aprendo le parrocchie e gli oratori e tolgono dalla strada i ragazzini, dando loro almeno una manciata di quelle risposte che, altrimenti, gli verranno date dal crimine organizzato con strumenti di prevaricazione e morte. Pensiamo a un ragazzino di dieci-dodici anni, la fase più delicata della sua crescita, che non ha da mangiare, che proviene da una famiglia povera e magari ha anche il padre detenuto. Un sacerdote che lo accoglie all’interno dell’oratorio, che gli da un pallone per giocare, la merenda, la possibilità di imparare un mestiere, gli mette a disposizione strumenti culturali, che gli fa leggere un libro o vedere un buon film e prova a indicargli strade per poter progettare il proprio futuro, magari diventando un calciatore oppure un ottimo falegname, compie esattamente quello che Padre Puglisi faceva a Brancaccio, creando tale scompiglio in Cosa nostra che ne venne deliberata l’eliminazione. Perché è di straordinaria efficacia questo modo di agire di alcuni sacerdoti? Perché se si lasciano in mezzo alla strada i giovanissimi, essi diventano più facilmente preda del ìcapo bastone’ di turno che gli offre di spacciare crack o di mettere la colla in un lucchetto di una saracinesca, con la sicura certezza che egli stesso finirà vittima di quella spirale perversa. Ebbene, questi sacerdoti coraggiosi non vanno lasciati soli. È proprio il prendersi cura degli ultimi e dei loro disagi che deve essere volontà ed obiettivo di tutti. Una forma concreta e altamente etica per onorare quanti hanno sacrificato la loro vita per noi. Istituzioni, scuola, chiese, semplici cittadini sono gli elementi base di quest’osmosi che ci permetterà fra dieci, vent’anni, di avere meno forza lavoro per la mafia e più cittadini consapevoli e onesti, proprio come volevano Falcone e Borsellino”.

Un nuovo modello di antimafia, quindi?
“Secondo me oggi il termine antimafia deve essere servire anche per determinare un nuovo modello d’impegno concreto, senza tentennamenti o ambiguità di sorta, per dare risposte ai problemi di quelli che hanno fame, che non hanno possibilità di costruirsi un futuro sano. Attraverso un futuro sano costruito per le nuove generazioni, potremo finalmente respirare ‘il fresco profumo di libertà’ come Paolo Borsellino auspicava”.

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