Catania, viaggio nella provincia siciliana più colpita dal virus - QdS

Catania, viaggio nella provincia siciliana più colpita dal virus

Ivana Zimbone

Catania, viaggio nella provincia siciliana più colpita dal virus

giovedì 02 Aprile 2020

Dai pronto soccorso ai reparti Covid, il personale sanitario in trincea lotta a mani nude. Pochi tamponi sul personale e tempi lunghi per i risultati: “Non ripetiamo gli errori della Lombardia”

CATANIA – Nella provincia etnea, dove si registra il maggior numero di contagiati (456) e morti (33) della Sicilia, “i casi di infezione da Coronavirus aumentano, ma le condizioni dell’organico sono ancora ottimali. Se la situazione non precipita, rimane sotto controllo. Gli ospedali riescono a contenere la richiesta, con circa 900 posti complessivi di cui circa 200 in rianimazione. Al Garibaldi e al Cannizzaro ci sono dei reparti interamente dedicati ai pazienti Covid-19”, fa sapere Giuseppe Arcidiacono, assessore alla Sanità del Comune di Catania.

Ma le testimonianze degli operatori sanitari raccontano uno scenario drammatico e lanciano un appello: “Bisogna che tutti i pazienti di tutti i reparti siano trattati – a prescindere – con le norme di sicurezza anti-virus. Altrimenti non ne usciremo più. Si rischia di ripetere l’errore iniziale della Lombardia”.

Come in tutto il Paese, a causa di una epidemia che all’improvviso ha travolto come uno tsunami la sanità, anche a Catania gli operatori spesso sono costretti a combattare a mani nude “una guerra contro un virus sconosciuto, procedendo nervosamente a rituali di vestizione molto particolari, spesso senza gli strumenti adeguati. E senza una scorta di tute, mascherine, occhiali, cuffie, calzari, guanti anticontagio”.

Altro problema più volte denunciato dagli operatori è la mancanza di tamponi a tappeto su chi è in prima linea, come tra l’altro previsto da un accordo tra il ministro Speranza e i sindacati. In realtà, rivela un infermiere che preferisce restare anonimo, stanno “iniziando i primi test sul personale, ma a una lentezza così estenuante che forse finiremo di analizzarli una sola volta in 3-4 mesi. Così è inutile. Serve un’analisi ogni 24 o 48 ore per tutti, o mancheranno i soccorsi, oltre che aumentare i contagi”. E poi ancora, “al Cannizzaro quei pochi tamponi già effettuati sul personale, non hanno ricevuto il loro responso. Una circolare ci ha informati che è finito il reagente per analizzare i tamponi”.

“Dal punto di vista dei pazienti la situazione è relativamente tranquilla. I posti disponibili ci sono ancora, ma le terapie intensive si stanno riempendo e le malattie infettive sono sature. La sanità non era pronta per un evento straordinario simile, mancano i dpi, ma anche la raccolta delle informazioni necessarie affinché si traccino i percorsi dei pazienti. A volte la loro positività si scopre in un momento successivo, allora perché non scrivere su un registro ogni percorso che compie un paziente all’interno dell’ospedale, per sanificare i locali interessati? Le tute di protezione – idrorepellenti e monouso – non bastano, quindi i sanitari le usano anche per 11 ore consecutive, rinunciando a bere, mangiare, andare in bagno. Anche questo è un rischio per la loro salute”.

GARIBALDI

Un medico del Pronto soccorso: “Test sul personale troppo lento”
“Il pronto soccorso, prima dell’accesso, garantisce un pre-triage. Qui vengono valutati i sintomi del paziente: se presenta febbre, tosse o difficoltà respiratorie viene indirizzato al percorso Covid; se non presenta questi sintomi, può accedere al pronto soccorso ordinario. Ma ci sono stati casi di pazienti asintomatici riconosciuti come positivi solo dopo aver fatto il tampone – il cui risultato non arriva mai prima delle 24 ore o molto più tardi – e che si recano in ospedale per altri motivi”, ha raccontato una dottoressa del pronto soccorso. “Senza considerare – ha continuato – la mancata sicurezza del percorso radiologico: i pazienti certamente affetti da Coronavirus vanno a fare le radiografie nello stesso posto degli altri, dove in reparto c’è il personale senza dpi adeguati. Così almeno, per evitare di sprecare questi preziosi presidi, raggruppiamo i pazienti che devono effettuarle”.

Come in tanti altri ospedali d’Italia, “per le poche maschere pienofacciali che abbiamo stanno finendo i filtri monouso. Un’azienda di Bologna che ce le forniva ha rifiutato i nostri ordini, affermando che siano stati requisiti dalla Protezione civile. Poi, vogliamo parlare della chirurgia? Se il chirurgo di turno fa un intervento d’urgenza al pronto soccorso, lo fa con una mascherina chirurgica, senza sapere se il paziente che sta curando sia infetto. E abbiamo poco personale, pochi posti letto, pochi ventilatori e maschere di ventilazione”.

“Lo screening sul personale? Sta iniziando adesso e procede lento, con pochi analizzati al giorno. Ci si rende subito conto di come sia inutile, visto che lo stesso medico può infettarsi a poche ore di distanza dal test e non saperlo mai, se lo screening non viene effettuato periodicamente a intervalli brevi garantiti. E non ci lamentiamo, ma facciamo anche turni di 11 o 12 ore, senza bere, senza mangiare o andare in bagno. Non si può rischiare di rimanere senza alcuna protezione”, ha aggiunto.

CANNIZZARO

“I pazienti asintomatici potrebbero rappresentare un problema”

“Non abbiamo dispositivi di sicurezza individuale, alcuni colleghi hanno cucito da soli le mascherine, come meglio hanno potuto. Ieri ero in turno e all’ingresso il foglio della farmacia dichiarava che ‘le mascherine non sono disponibili’. Il tampone viene eseguito solo ai pazienti che presentano una temperatura superiore ai 37 °C e – circa due settimane fa – un malato si è presentato al pronto soccorso ed è stato trasferito in neurologia; solo dopo tre giorni è risultato positivo al tampone. I colleghi che hanno avuto contatti con lui non sono in isolamento. Le circolari ci dicono di ‘usare i guanti con cautela’, che significa? Praticamente dovremmo utilizzare gli stessi guanti per pazienti diversi?”, ha chiosato un’infermiera.

A proposito del reparto riservato esclusivamente ai Covid, ha aggiunto: “Il reparto si trova nello stesso blocco di altri, tra cui la pediatria. Lo stesso ascensore viene utilizzato da tutti, indistintamente”.  “Ci sono anche più di sessanta infermieri che fanno gli ‘imboscati’ – persino durante quest’emergenza!”, ha detto un’altra operatrice sanitaria. “I percorsi corretti per i pazienti Covid-positivi? – ha continuato – Non sono garantiti, perché a Catania quanto accaduto in Lombardia non ha insegnato nulla. Le sanificazioni dei locali in cui sono passati i Covid-positivi avvengono anche dopo 3 giorni e si utilizzano gli stessi ascensori. Gli utenti e le salme fanno talvolta lo stesso percorso”.

L’ufficio stampa dell’ospedale – invece – ha dichiarato: “La disponibilità dei dpi non è stata quella che ci si aspettava: la distribuzione è avvenuta continuamente, ma con parsimonia. Lo screening sul personale è già partito – con una decina di test già effettuati – e sarà ripetuto periodicamente. Le regole anti-Covid prevedono il pre-triage e le c.d. ‘zone grigie’ che abbiamo, con locali a pressione negativa. Ma nonostante l’organizzazione non abbia determinato criticità, i soggetti asintomatici potrebbero potenzialmente rappresentare un problema. In radiologia, invece, gli operatori hanno tutti i dpi di sicurezza, ma anche un apparecchio mobile da utilizzare direttamente sul paziente. Le aziende delle pulizie? Abbiamo una stessa ditta che fornisce personale, tanto per le pulizie, quanto per il supporto ai pazienti; ogni addetto si occupa di una mansione specifica in reparti stabiliti, ma può rotare”.

SAN MARCO

“Mascherine lavate e riutilizzate anche per più di una settimana”

“Fino a pochi giorni fa abbiamo operato le urgenze, ora possiamo operare solo quelle non differibili. Le maschere omologate anti-Covid sono le FFP2 e le FFP3, che non abbiamo. Al massimo riusciamo ad avere quelle chirurgiche, quasi inutili, che usiamo come alternativa alle sciarpe. Le laviamo, le riutilizziamo anche per più di una settimana, con il tessuto ormai dilatato. Abbiamo invece ricevuto parecchie mascherine – senza certificazione – da un volontario artigiano”, ha raccontato un medico del San Marco.

Lo screening sul personale? “Ancora non se ne parla – ha continuato -. In un reparto hanno persino rubato 2mila guanti e 70 tute monouso, tra l’altro non protettive e utili solo a coprire i pazienti in sala operatoria. Questa situazione drammatica si aggiunge alla nostra tensione; i pazienti intubati, lo sono in una condizione atipica persino nei casi di polmonite acuta”.

Anche i rianimatori d’esperienza hanno difficoltà a intubare pazienti in posizione supina o prona, ma adesso saremo costretti a farlo fare agli universitari o agli immunopatologi, che non si sono mai occupati realmente di un paziente. Io stesso, conoscendo le condizioni in cui sono costretto a lavorare, vivo in una parte separata della casa rispetto al resto della mia famiglia”, ha concluso.

POLICLINICO

“Ancora pochi intubati, se i catanesi stanno a casa ce la possiamo fare”

“I dispositivi di protezione sono pochi, ma dicono sempre che stanno arrivando – ha spiegato un medico dell’Ospedale -. Il mio reparto ha chiesto 50 tute di biocontenimento, ne sono arrivate solo 4. Ne avevamo chieste di più anche per darle agli operatori delle ambulanze che ne sono sprovvisti. Queste tute vengono usate solo nelle aree critiche, ma ormai nessuno può più escludere la presenza del virus in nessun reparto. A Catania, se la cittadinanza si convince a rimanere a casa, possiamo ancora farcela a non collassare, perché gli intubati non sono troppi. Ma le denunce degli operatori sono importanti, in oltre 400 hanno scritto una lettera dove dicono di possedere mascherine non a norma. Alcuni ‘eroi’ rimangono più ore rispetto al turno previsto, a gratis, per completare le terapie dei pazienti. Lo fanno per non ‘sprecare’ ulteriori tute e mascherine, o per proteggere il collega successivo che non ha alcuna protezione. Una dottoressa aveva il viso tagliato dalla maschera, dopo oltre 11 ore di lavoro.”, ha detto un medico.

“Manca la formazione del personale. In ematologia c’è stato persino il caso di un paziente accompagnato dal figlio Covid-positivo che veniva dal Nord. La direzione cerca di individuare i percorsi, ma il pre-triage non è in grado di assicurare la loro correttezza”, ha affermato una dottoressa. L’addetta alle pubbliche relazioni del Policlinico e del San Marco, ha dichiarato: “Anche da noi – come nelle altre strutture – mancano dispositivi e tamponi, ci stiamo approvvigionando. I percorsi per i sospetti Covid, invece, rimangono diversi da quelli degli altri pazienti”.

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