La Sicilia non spicca il volo nonostante i tanti record - QdS

La Sicilia non spicca il volo nonostante i tanti record

Antonino Lo Re

La Sicilia non spicca il volo nonostante i tanti record

giovedì 28 Maggio 2020

Rapporto sul Territorio 2020 pubblicato dall'Istat: tante le contraddizioni per la nostra Isola, dall’agricoltura al turismo. Siamo la regione con il maggior numero di coste (il 18,8% del totale) ma il numero di pernottamenti dei visitatori non ci rende giustizia

PALERMO – La Sicilia è la regione maggiormente interessata dal turismo costiero in termini di superficie (per km2) grazie al 18,8% del totale, ma si ritrova ad essere la seconda meno industrializzata della nazione con l’8,7%. Dati che emergono dal “Rapporto sul Territorio 2020” recentemente pubblicato dall’Istat e dal quale si evince anche che il 66,9% dei comuni costieri e il 65,5% dei 970 comuni con presenza di attività turistiche ricade in sole cinque regioni: Calabria, Sicilia, Liguria, Campania e Puglia. Sotto questo aspetto, Palermo rientra tra i primi dieci comuni iperturistici, vale a dire con alta pressione turistica ed elevata produttività. Messina, invece, fa parte degli enti locali efficienti, cioè con bassa pressione turistica ma produttività elevata.

La nostra Isola si mette in evidenza anche per quel che concerne la quota di superficie biologica sul totale della Sau (superficie agricola utilizzata), che supera il 25%. Si tratta della percentuale più alta dopo quella registrata dalla Calabria (oltre il 29%). Non a caso in Italia, la pratica biologica è diffusa maggiormente nel Centro e nel Mezzogiorno, che insieme rappresentano l’85% della superficie nazionale dedicata a coltivazioni biologiche.

In tutte le Regioni, a eccezione della Liguria, si osserva un robusto aumento dell’incidenza delle coltivazioni biologiche sulla Sau totale rispetto al 2010. Tra i principali macrousi biologici, nel 2016 il più diffuso a livello nazionale è quello dei seminativi.

Il territorio siciliano spicca anche per essere quello più terziarizzato dopo il Lazio. Nel 2017 i servizi pesano per oltre l’84% del valore aggiunto nella regione della Capitale, mentre in Sicilia, Calabria e Liguria, con quote superiori all’80%. La rilevanza del comparto nel periodo 2008-2017 è cresciuta di 2,4 punti percentuali a livello nazionale, ma di oltre 3 punti nel Mezzogiorno, fino al 78,5%. Insieme alla nostra regione, come detto, quelle meno industrializzate sono la Sardegna (9,9%) e la Calabria (7,8%). Le quote più elevate di valore aggiunto dell’industria si registrano in Basilicata e nelle Marche (rispettivamente 27,8% e 26,8%), seguite da Veneto (26,7%) ed Emilia Romagna (26,6%).

Per effetto della distribuzione secondaria del reddito effettuata dalla Pubblica amministrazione che trasferisce più risorse alle regioni del Mezzogiorno (2,1mila euro per abitante, contro 0,6mila nel Nord-ovest), il divario tra Mezzogiorno e Centro-Nord scende al di sotto del 35% in termini di reddito disponibile per abitante.

La Sicilia è la regione dopo Sardegna (2,7mila euro per abitante) e Calabria che maggiormente usufruisce della redistribuzione (2,3mila). Nella graduatoria delle regioni per livello di reddito disponibile pro capite nel 2018 al primo posto ancora c’è la Provincia Autonoma di Bolzano-Bozen, con 26mila euro, e all’ultimo la Calabria, con 12,7mila euro.

Sul territorio, la variabilità interregionale nell’incidenza dell’occupazione sostenibile è relativamente più contenuta rispetto a quella osservata tra attività economiche. Nelle regioni del Nord si riscontrano valori più elevati rispetto a quelle del Meridione. Infatti, le province autonome di Trento e Bolzano-Bozen, la Lombardia, il Veneto, il Friuli e l’Emilia Romagna presentano livelli dell’85% o più, mentre in Puglia, Sicilia, Molise e Calabria si scende al 75%. Gli incrementi maggiori della quota di occupazione sostenibile nel biennio si sono avuti in regioni sotto la media: Liguria, Campania, Molise e Basilicata, che hanno ridotto il gap.

Twitter: @AntoninoLoRe

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