Les Miserables di Palermo - QdS

Les Miserables di Palermo

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Les Miserables di Palermo

Giovanni Pizzo  |
sabato 22 Aprile 2023

Un "gioiello" siciliano trasformato in una "città senza senso dello Stato, in cui la Comunità è esclusivamente la famiglia e i suoi bisogni".

C’era un magistrato, poco tempo fa, che faceva la spesa gratis a un supermercato confiscato alla mafia. Oggi c’è una preside di una scuola simbolo di Palermo, in un quartiere a rischio, lo Zen, che faceva la stessa cosa nella mensa scolastica.

Dispiace che entrambe siano state considerate non solo simboli di legalità, con pubbliche manifestazioni e onorificenze, ma soprattutto che siano donne. In questo, la visione distorta di ruoli pubblici e sociali, purtroppo c’è un’accelerazione nella parità di genere. Non si riescono ad avere asili nido a Palermo, ma se c’è da “grattare”, la parità è raggiungibile. C’è una filosofia amorale, di miserabile umanità, di una borghesia palermitana molto piccola, che dopo aver visto il sacco di Palermo si sono detti “chi c’è pi mia?”.

Da qui tante piccole – che però insieme diventano enormi – ruberie, approfittando del proprio ruolo, spesso pubblico, con onori e senso di impunità. Non è che chi lavora privatamente non sia tentato: magari evade, elude, ma ha meno armi per approfittare. Dal funzionario regionale che chiede tangenti, a quello comunale, a quelli statali di ogni ordine e grado che portano qualcosa a casa, tutti tengono famiglia. Questa è una città senza senso dello Stato, in cui la Comunità è esclusivamente la famiglia e i suoi bisogni. Molta miseria a tutti i livelli.

Un quadro che potrebbe ispirare un Victor Hugo, se Palermo ne avesse uno, e non continuasse a descrivere esclusivamente il passato della Belle Époque, piuttosto che il deprimente presente. Sembrava che il problema di Palermo fosse solo la Mafia, per cui si erano sacrificati una generazione di palermitani perbene, tra cui quello a cui era intestata la scuola dello Zen, Giovanni Falcone.

Invece no. Ci si difende con il “Io no”, “Io non c’entro”, “non facciamo di tutte le erbe un fascio”, “non buttiamo il bambino con l’acqua sporca”. Ma la sensazione è proprio di sporco, di miseria, la birra Corona ordinata per la mensa scolastica, fregare l’origano e i vasetti di giardiniera per l’insalata di riso, anche se poi ci vuole il dolce; noi palermitani siamo impastati con lo zucchero, un dolce che rappresenti Palermo. La Pupa a cena.

Chi è senza peccato scagli la prima pietra in questa città irredimibile di Martiri e piccoli ladri che crescono. Palermo, una volta Felicissima, un giardino dell’Eden. E forse proprio qui Eva deve aver colto il frutto, che diversamente dalla narrazione biblica, non era una Mela ma un Mandarancio, un frutto ibrido come il peccato. Deve essere nato qui a Palermo il peccato originale, non c’è altra spiegazione, e non se ne và, nonostante i murales di Giovanni e Paolo, santi laici di questa città, ci guardino da ogni angolo.

Cosi è se vi pare.

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