Neolaureati e occupazione, il divario tra Nord e Sud aumenta - QdS

Neolaureati e occupazione, il divario tra Nord e Sud aumenta

Pietro Vultaggio

Neolaureati e occupazione, il divario tra Nord e Sud aumenta

giovedì 05 Dicembre 2019

Dati Eurostat relativi al 2018: in Sicilia solo il 30% dei neo-dottori trova lavoro entro 3 anni. Insieme alla Calabria tra le peggiori dell’Ue insieme alla regione greca Sterea Ellada

PALERMO – I primati, secondo una accezione negativa del termine, sono di casa nell’Isola. Solo il 30,1% dei laureati trova lavoro entro tre anni dalla fine degli studi.

Questo quello che emerge dalle ultime statistiche Eurostat relative al 2018, secondo le quali l’Italia risulta il Paese peggiore dopo la Grecia. Si ritorna a parlare di giovani e di future generazioni senza una visione prospettica e senza un reale equilibrio con la generazione precedente.

In Sicilia non sembra esserci posto per i laureati, quelli occupati sono pochi e il numero complessivo in uscita dai corsi universitari, di conseguenza, è aumentato. In dieci anni i laureati emigrati al Centro-Nord sono stati 39 mila. È evidente, però, che il settentrione non può essere detentore dell’unica certezza, ma riesce a trainare tutto il resto del Paese. Occorre una nazione con diverse propulsioni, dove includere anche il solito arretrato Sud.

Ragionando su tutto il territorio le stime si alzano, diventano sei su dieci i laureati che risultano occupati a tre anni dal titolo, pari al 59,8%. Una percentuale in crescita di dieci punti rispetto al 2014, ma ancora lontana dalla media europea che ha raggiunto l’83,5%. A superare la Sicilia, in quanto a diminuzione occupazionale di giovani istruiti, solo la Calabria, dove il 29,1% rappresenta lo stato di crisi di un futuro sempre più incerto per chi vuol resistere e rimanere.

Sicilia e Calabria i dati peggiori tra le regioni dell’Unione Europea insieme alla regione greca della Sterea Ellada (33,7%), mentre in Bassa Baviera la percentuale è del 97%. Impietosi i dati Eurostat che riguardano, invece, le donne laureate: in Sicilia solo il 29,1% e in Calabria il 21,6% (in calo sul 2017). Facendo sempre un paragone su scala europea, per le donne laureate la media occupazionale a tre anni dalla laurea è dell’82,1% mentre per l’Italia è del 58,1%, con la più virtuosa provincia di Bolzano all’82,6%.

Disastro anche per chi esce dalle scuole superiori: in Germania entro tre anni trovano lavoro il 90,3% dei ragazzi diplomati; in Sicilia risulta occupata appena una persona su cinque (il 22,2%, con un calo dal 25,8% del 2017). Per le ragazze il meridione rappresenta solo un trend negativo, con appena il 16,8% delle giovani siciliane che lavora entro tre anni dal diploma a fronte dell’85,3% della provincia di Bolzano e il 43,6% in media in Italia. In Germania la media è dell’88,3% con picchi regionali superiori al 90%.

Problemi occupazionali, quindi, che investono in pieno i giovani siciliani e ancor di più coloro i quali hanno deciso di affrontare gli studi universitari per poi immettersi nel mondo del lavoro, ma che trovano dalla loro solo poche opportunità lavorative.

Qualche mese fa, Rosario Faraci, professore ordinario di Economia e Gestione delle Imprese all’Università degli Studi di Catania, ha messo in evidenza che la Sicilia, rispetto alla Lombardia e Milano in particolare, ha un saldo negativo di quasi 5.000 laureati all’anno, i quali, in teoria, dovrebbero esser costretti ad andar fuori per trovare lavoro. Al netto delle considerazioni, una incapacità evidente dell’offerta lavorativa di assorbire tutti i laureati usciti dalle quattro università siciliane. “Una delle criticità – ha spiegato Faraci – è la modesta capacità di assorbimento del settore privato. Si creano meno posti di lavoro di quanti siano i laureati.

La Lombardia ha creato nel 2017 un numero di nuovi occupati pari a 3,75 volte quelli creati dalla Sicilia. Così non è possibile competere e i nostri ragazzi scappano. Per fortuna, ciò non vale per tutti gli indirizzi, ad esempio informatica ed ingegneria assicurano un buon rapporto fra laureati e occupati. Ma, in generale, il gap oggi è notevole”.

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