Il Ponte sullo Stretto vittima dei “benaltristi”. Quanto tempo perso dall’Unità d’Italia a oggi - QdS

Il Ponte sullo Stretto vittima dei “benaltristi”. Quanto tempo perso dall’Unità d’Italia a oggi

redazione

Il Ponte sullo Stretto vittima dei “benaltristi”. Quanto tempo perso dall’Unità d’Italia a oggi

Roberto Greco  |
venerdì 29 Dicembre 2023

La travagliata storia dell’opera che (forse) nel 2024 vedrà finalmente l’apertura del cantiere

I primi a non credere nel ponte sullo Stretto di Messina sono stati, da sempre, i siciliani e la loro presupponente idea che il ponte limitasse la propria autonomia insulare. Oggetto del desiderio e, contemporaneamente, nemico da abbattere, la storia del ponte affonda le sue radici al tempo in cui l’isola, a seguito della prima guerra punica (264-241 a.C.), fu assoggettata a Roma che, dopo la vittoria di Torquato Attico e Catulo sulle truppe cartaginesi di Annone nella battaglia delle Isole Egadi, ne fece la sua prima provincia Romana. Nelle cronologie storiche di Plinio il Vecchio e Strabone si legge che il console romano Lucio Cecilio Metello, nel 251 a.C., avrebbe fatto costruire un ponte provvisorio sullo Stretto realizzato con barche e botti al fine di collegare Messana e Rhegium, le odierne Messina e Reggio Calabria, per trasferire a Roma dalla Sicilia i 104 elefanti catturati alle legioni di Asdrubale. Ma, come spesso accade nell’isola, quell’idea nel tempo si trasformò in una chimera e in una chiave di lettura dell’isola.

Anche Carlo Magno, colpito dalla vicinanza fra le due terre, pensò che sarebbe stato possibile collegarle in qualche modo, ma alla sua morte il sogno svanì come il suo impero. Dopo di lui, la grande sfida a Scilla e Cariddi fu affrontata nell’XI° secolo da Roberto il Guiscardo, fratello del conquistatore normanno Ruggero Altavilla, che avrebbe iniziato la costruzione di un ponte sullo Stretto, ma con la sua morte avvenuta nel 1085 i lavori furono abbandonati. Ci riprovò Ruggero II, Re di Sicilia dal 1140, ma la sua iniziativa si limitò solo a delle perlustrazioni fatte fare a palombari per verificare se era effettivamente possibile costruire un collegamento stabile.

Passarono oltre sette secoli e subito dopo l’Unità, nel 1866, l’allora ministro dei trasporti, il conte Stefano Jacini, incaricò l’ingegner Alfredo Cottrau di verificare la fattibilità di un ponte metallico, ma anche questo tentativo fallì. Pochi anni dopo, nel 1870, Carlo Navone, ingegnere, storico e politico italiano, si laureò a pieni voti al Politecnico di Torino con una tesi di laurea relativa al progetto di attraversamento sottomarino dello Stretto di Messina mediante un tunnel da realizzarsi tra Villa San Giovanni e Ganzirri ma, contrariamente alla sua idea progettuale relativa alla cosiddetta succursale dei Giovi (linea veloce per Genova) alternativa alla vecchia linea di valico e sviluppata con numerosi ponti e gallerie che fu realizzata verso il 1880, del suo progetto del tunnel sottomarino non se ne fece nulla.

Nella prima metà del 900, toccò a Mussolini a indicare il Ponte sullo Stretto come opera da costruire dopo la guerra per rilanciare l’Italia in due occasioni. La prima fu nel 1934 quando il generale del genio navale, Antonio Calabretta, presentò un progetto di ponte tra Punta Faro e Punta Pezzo e l’anno successivo quando il comandante Filippo Corridoni suggerì invece la posa di un enorme tubo d’acciaio sottomarino per il transito ferroviario e veicolare, ma neanche i progetti del ventennio fascista ottennero risultati.

Ma fu nel 1969 che il Ministero dei Lavori Pubblici indisse un primo “Concorso internazionale di idee” per collegare la Sicilia all’Europa. Vinsero a pari merito sei progetti: tunnel a mezz’acqua ancorato al fondo mediante cavi in acciaio, ponte strallato a tre campate, ponte sospeso a una, tre, quattro e cinque campate e iniziarono “studi di fattibilità” per la realizzazione dell’opera. Nel 1981 il governo Forlani creò la società Stretto di Messina Spa per la realizzazione di un ponte sospeso con campata unica.

A metà anni ‘80, tutto sembrava essere pronto per l’inizio dei lavori e l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi annunciò con toni trionfalistici che “alla fine dell’88 ci sarà l’apertura dei cantieri. Entro il 1998 avremo il ponte”. Lo stesso Romano Prodi, all’epoca presidente dell’Iri e sostenitore dell’opera, promise che “i lavori per la costruzione cominceranno al più presto”. Ma la progettazione andò a rilento e, con lo scoppio di Tangentopoli nel 1992, la politica si ritrovò a gestire una crisi finanziaria e di fiducia. Proprio nel 1988 invece, dall’altra parte del mondo, iniziarono i lavori per la costruzione dell’Akashi Bridge, il Ponte dello stretto di Akashi, che fu inaugurato il 5 aprile 1998. Lungo 3911 metri e alto 282, unisce la città di Kobe e l’Isola di Awaji ed è, per ora, il ponte sospeso più lungo al mondo. Si tratta di un’opera ingegneristica che è stata messa a durissima prova da terremoti e venti violentissimi, in un territorio in cui si sono registrate molte scosse di magnitudo superiore a 8.0 che hanno fatto tremare l’intero Giappone. Ma in Italia quello non fu il momento per il lancio di grandi progetti e il ponte finì nel dimenticatoio per un decennio.

Nel 2001, dopo cinque anni di governo del centrosinistra, l’Italia tornò al voto e, a sfidarsi, furono Francesco Rutelli, leader del centrosinistra, e Silvio Berlusconi, leader del centrodestra. Entrambi sostennero il ponte, perché il primo lo indicò come soluzione per “rompere lo storico isolamento del Mezzogiorno” mentre il secondo ne fece uno dei capisaldi della sua campagna elettorale.

Durante i cinque anni di governo del centrodestra, il Ponte fu inserito tra i 18 progetti europei prioritari da rendere operativi entro il 2020 tantoché nel 2004 l’allora ministro dei trasporti Pietro Lunardi si presentò trionfante a Parigi alla prima presentazione internazionale del progetto. Il bando per la realizzazione del ponte fu vinto dalla società Impregilo, che nel 2006 firmò il contratto per la progettazione finale. Ma il centrodestra non fece in tempo a ultimare l’avvio dei lavori nei suoi cinque anni di governo e nel 2006 il piano si bloccò. Nelle elezioni di quell’anno, che vennero vinte dal centrosinistra guidato da Romano Prodi, il nuovo Presidente del Consiglio non era più un grande sostenitore del Ponte, diventato ormai un marchio di fabbrica del suo avversario tanto che il nuovo ministro dei Trasporti, Alessandro Bianchi, dichiarò: “Il Ponte sullo Stretto è inutile e dannoso”. Dopo circa due anni, il governo guidato da Romano Prodi cadde e Silvio Berlusconi ritornò al governo e il ponte sullo Stretto rientrò nel dibattito pubblico tanto che il nuovo ministro delle Infrastrutture e dei trasporti Altiero Matteoli confermò che “Il ponte si farà” e che “i lavori per il Ponte inizieranno nel 2009” perché, come dichiarò il premier Berlusconi l’opera “fa parte del corridoio europeo Berlino-Palermo. Avvieremo al più presto la costruzione”.

In realtà nel 2009 il cantiere, anche se indirettamente, fu aperto con i lavori per la realizzazione della variante ferroviaria di Cannitello (Rc), propedeutici proprio alla realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina. “Stiamo rispettando i tempi che c’eravamo assegnati per la ripartenza delle opere pubbliche – dichiarò il ministro Altero Matteoli -. Oggi partono con puntualità anche i primi lavori propedeutici al Ponte sullo Stretto e nel prossimo anno proseguiranno anche sulla costa siciliana. Si tratta di lavori indispensabili per avviare la costruzione del manufatto, ma necessari a prescindere dal Ponte. Un’opera che il governo ritiene prioritaria e per la quale sono stati compiuti tutti i passi necessari e non facili per realizzarla”.

Nel 2010, la Impregilo consegnò finalmente il progetto definitivo del ponte incaricando di progettare le principali strutture a nientemeno che l’archistar Daniel Libeskind, ideatore del Museo ebraico di Berlino e del One World Trade Center di New York ma, ancora una volta, il progetto venne accantonato anche perché nel 2011 l’Unione Europea non incluse il Ponte sullo Stretto tra le grandi opere destinatarie dei fondi comunitari.

Proprio quell’anno il governo Berlusconi cadde e, negli anni successivi si avvicendarono governi di larghe intese o guidati da figure più tecniche e non favorevoli al Ponte: Mario Monti, Paolo Gentiloni, Enrico Letta. Furono soppressi i finanziamenti pubblici destinati all’opera, e nel 2012, il governo di Mario Monti annunciò di non voler proseguire con l’iter della realizzazione tanto che, nel 2013, la Stretto di Messina Spa fu messa in liquidazione, il progetto decadde e il governo si trovò invischiato nella richiesta di pagamento di una penale da 300 milioni di euro alla Impregilo, la società che aveva vinto l’appalto per costruire il ponte.

Solo nel 2016 a farlo ritornare sulla scena fu l’allora presidente del Consiglio e leader del Partito democratico Matteo Renzi che, ospite di Bruno Vespa su Rai 1, annunciò che l’opera si sarebbe fatta. La sfida di Renzi non ebbe seguito, anche per la caduta del suo governo, e per qualche anno il Ponte tornò nel dimenticatoio e riprese corpo solo nell’estate 2020 quando il Governo di Giuseppe Conte lo rilanciò. La ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli nominò una commissione di 16 membri per esaminare le “possibili alternative” per collegare la Sicilia alla Calabria. Nel 2021, dopo la caduta del governo Conte, il dossier del Ponte sullo stretto fu raccolto dal Governo di Mario Draghi, che stanziò altri 50 milioni di euro per uno studio di fattibilità tecnico–economica dell’opera più promessa della storia d’Italia.

Il resto è storia recente. Ora il più accanito sostenitore del ponte è l’attuale ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini e l’opera è diventata il baluardo del governo di Giorgia Meloni. Grazie ad un emendamento alla manovra 2024 sono stati rimodulati 2,3 miliardi di finanziamenti per il collegamento tra l’isola e il continente ma due terzi saranno a carico della quota del Fondo sviluppo e coesione destinata alle due regioni. In realtà è prevista una rimodulazione degli stanziamenti per l’intero piano dell’opera, fino cioè al 2032 quando, nelle promesse di Salvini, si taglierà il nastro. La modifica snocciola la nuova ripartizione dell’articolo 56: le risorse per 11,630 miliardi restano invariate ma a carico del bilancio la spesa si riduce a 9,312 miliardi con la conferma dei 780 milioni per il 2024. La leva sarà il Fondo di sviluppo e coesione, la cui definizione 2021-2027 è recente, che elargirà 718 milioni levandoli all’amministrazione centrale. Più imponente la dote a carico sempre del Fondo ma a valere sui bilanci di Calabria e Sicilia che verseranno 1,6 miliardi e per il 2024 si conferma la dotazione di 780 milioni, utile per iniziare i lavori del primo lotto dell’opera.

Al netto delle polemiche delle ultime settimane, ai microfoni di Zapping su Radio Uno Rai il presidente della Regione Siciliana Renato Schifani ha dichiarato “Sono convinto che il Ponte sullo Stretto si farà: ci sono tutti i presupposti. Abbiamo un governo che è d’accordo sul farlo, due Regioni, Sicilia e Calabria, che lo vogliono e vi è la disponibilità di risorse. Occorrerà individuare anche dei fondi europei ma credo che si tratti di un’opera che vada oltre l’interesse regionale” e che “la fiche la Sicilia l’aveva già messa e ora è maggiorata di 300 milioni ma è ben spesa, perché è per un’opera che noi abbiamo sempre voluto e che sosterremo”.

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