Processi sui media, così muore la Giustizia - QdS

Processi sui media, così muore la Giustizia

Paola Giordano

Processi sui media, così muore la Giustizia

giovedì 21 Novembre 2019

Indagati alla gogna ma poi silenzio “colpevole”. Intanto, si arena la riforma: c'è un'intesa sul processo civile, fumata nera però su penale e soprattutto sulla prescrizione

PALERMO – L’art. 27, comma 2, della nostra Costituzione stabilisce che “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.

La realtà, però, ci racconta molte volte tutta un’altra storia perché le sentenze di condanna arrivano sempre più spesso dalle pagine dei giornali, dalle televisioni e dal web, dove quasi quotidianamente si celebrano processi a danno di questo o quell’indagato, peggio ancora se si tratta di un personaggio noto all’opinione pubblica. Se poi questi risulta innocente, quegli stessi salotti televisivi e quegli stessi giornali che hanno già emesso la sentenza di condanna sembrano dimenticare di dare il giusto spazio alla conclusione delle indagini o dei processi, se favorevoli all’indagato o all’imputato.

La riforma della giustizia annunciata dal ministro Alfonso Bonafede, intanto, rimane arenata. Le forze politiche che compongono il governo Conte hanno raggiunto proprio ieri un’intesa sulla riforma del processo civile che verosimilmente approderà in Consiglio dei ministri la prossima settimana. Fumata nera, invece, sul processo penale e prescrizione.

Eppure le tante storture del sistema sono sempre lì, note a tutti ma ancora irrisolte: errori giudiziari, ingiusta detenzione, durata irragionevole del processo, per citare i più eclatanti. Quest’ultimo, insieme alla riforma del Csm, finito nel caos dopo il “caso Palamara”, è uno dei punti cardine della riforma che Bonafede ha nel cassetto ormai da mesi.

Lunghezza processi. Il testo della riforma del ministro Alfonso Bonafede prevede una durata massima di sei anni per i processi sia nel civile sia nel penale, superati i quali i giudici rischiano un illecito disciplinare.

Prescrizione. La legge cosiddetta “Spazzacorrotti” prevede che con la sentenza di primo grado non decorrano più i termini della prescrizione. Il blocco dei termini entrerà in vigore dal prossimo 1 gennaio. Ciò vuol dire che la prescrizione si fermerà solo entro i termini del giudizio di primo grado, mentre non decorrerà più e quindi non verrà applicata nei successivi gradi del giudizio, e ciò sia che si tratti di assoluzione sia che si tratti di sentenze di condanna.

Riforma Csm. Per superare l’attuale sistema legato alle correnti, è prevista l’introduzione del sorteggio tra i candidati al Consiglio superiore della magistratura prima della elezione vera e propria.

Nell’attesa che si sciolgano questi nodi, gli ultimi dati di errorigiudiziari.com, relativi al 2018, parlano di 895 casi di ingiusta detenzione, 136 dei quali si sono verificati nella nostra Isola, e di quasi 48 milioni di euro sborsati dallo Stato a titolo di risarcimenti per ingiusta detenzione (5,75 dei quali erogati in Sicilia).
Numeri spaventosi che insieme a tanti altri indicatori mostrano quanto oggi più che mai sia improrogabile una seria riforma.

Consorzio siciliano di riabilitazione, cade l’accusa di “dichiarazione infedele”: il Gip di Catania dispone l’archiviazione per Sergio e Francesco Trovato

CATANIA – L’accusa a loro carico era “dichiarazione infedele” ma ad un anno dalla verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza e dal conseguente sequestro preventivo di oltre 3 milioni di euro, il caso è stato archiviato. Protagonisti della vicenda sono Sergio e Francesco Lo Trovato, rispettivamente presidente del Cda e direttore generale del Consorzio siciliano di riabilitazione, consorzio, con sede a Viagrande, che si occupa del recupero fisioterapico dei disabili e che gestisce direttamente 19 centri di riabilitazione degli ex Aias (Associazione italiana assistenza spastici) nelle province di Catania, Siracusa, Ragusa, Enna, Trapani e Caltanissetta.

Le indagini della Guardia di finanza furono avviate dall’esecuzione di una verifica fiscale effettuata nell’ottobre 2018, che portò ad una contestazione amministrativa di redditi non dichiarati per 10,7 milioni di euro e di oneri non deducibili per 2,9 milioni di euro. Secondo le accuse iniziali i due indagati, attribuendo al Csr la natura giuridica di società consortile, avrebbero sottratto al pagamento delle imposte, per gli anni dal 2013 al 2016, redditi complessivi per oltre dieci milioni di euro.

Secondo quanto risulta dalle indagini, durate cinque mesi, si sarebbe trattato invece di un’impresa commerciale fortemente patrimonializzata e dotata di una struttura organizzativa rilevante (seicento dipendenti, oltre duecento collaboratori e beni strumentali per dieci milioni di euro). A seguito di quel controllo, la Guardia di finanza di Catania eseguì un decreto di sequestro preventivo diretto e per equivalente di denaro e beni per un valore complessivo di oltre tre milioni di euro.

A distanza di poco più di un anno il Gip di Catania ha disposto l’archiviazione del caso. Archiviazione peraltro richiesta dal Pm Fabio Regolo due mesi fa, contestualmente alla firma, da parte dello stesso, del provvedimento di dissequestro di 3 milioni di euro, oggetto del sequestro preventivo sui conti del Csr. Il 10 settembre il Presidente del Csr Sergio Lo Trovato, assistito dagli avvocati Vito Branca e Carmelo Peluso, si era recato dal Pm per rendere dichiarazioni spontanee in merito ai sui rilievi effettuati dalla Gdf.

“Siamo soddisfatti per l’esito positivo della vicenda penale e per il dissequestro delle somme al Csr – ha commentato il presidente del Csr, Sergio Lo Trovato – Essere additati come evasori fiscali, accusati di concorrenza sleale e di aver fatto investimenti speculativi ha profondamente colpito e amareggiato noi, i nostri operatori, i disabili e i familiari che assistiamo. Chi ha messo in dubbio il nostro operato, con alcuni articoli di stampa o altro, sicuramente lo ha fatto perché non conosce i fatti, le attività che svolgiamo e il sentimento che ci ha mosso ad aver cura dei nostri ragazzi e ragazze”.

Milano, permesso al killer che esce dal carcere e accoltella un anziano

MILANO – Aveva ottenuto un permesso premio l’ergastolano Antonio Cianci, 60 anni, condannato all’ergastolo per l’omicidio nel 1979 di tre carabinieri i Melzo, “colpevoli” di averlo fermato in un posto di blocco. Un giorno di libertà, seppure apparente, che ha sfruttato nel peggiore dei modi, tentando di rapinare e accoltellando un anziano nel parcheggio sotterraneo dell’ospedale San Raffaele di Milano.
Al pluriomicida era stato concesso il beneficio di uscire dal carcere sulla base dell’articolo 30 ter della legge sull’ordinamento penitenziario che prevede permessi ai condannati all’ergastolo, dopo 10 anni di detenzione, che hanno “tenuto regolare condotta” e che “”non risultano socialmente pericolosi”. Requisiti che Cianci aveva mostrato di possedere: la relazione del carcere di Bollate, dove il detenuto scontava la sua pena dal 2017, attestava un reale cambiamento – in positivo – del detenuto. Così non era, però, e a pagarne le spese è stato l’anziano settantanovenne, che per fortuna non è in pericolo di vita.

Strumentalizzazioni sul caso Bibbiano, magistratura finita nel mirino

BIBBIANO (RE) – Nessun “caso” a Bibbiano secondo i giudici del Tribunale dei minori di Bologna, che per tutta l’estate hanno setacciato le richieste di provvedimenti per i minori della Val d’Enza, dopo il caos scoppiato a fine giugno, quando la Procura di Reggio Emilia rese nota l’inchiesta “Angeli e Demoni” su presunti reati legati ad alcune pratiche di allontanamento di minori dalla loro famiglia.
Su cento fascicoli esaminati non è stata riscontrata nessuna anomalia: in 85 casi il Tribunale aveva deciso di lasciare il minore nel proprio nucleo e solo in 15 i giudici avevano deciso per l’allontanamento del minore dal nucleo familiare. Di questi 15, sono stati presentati sette ricorsi, tutti respinti dalla sezione minori della Corte d’Appello.
Se la notizia dell’indagine aveva sollevato un polverone mediatico cavalcato da quotidiani e salotti politici, l’evoluzione della vicenda non ha avuto la stessa risonanza. In barba al testo unico dei doveri del giornalista.

Amianto negli stabilimenti Olivetti, assolto Carlo De Benedetti

ROMA – Assolti in via definitiva Carlo De Benedetti, il fratello Franco e l’ex amministratore delegato Corrado Passera, accusati di omicidio colposo e lesioni colpose plurime per le morti legate all’amianto negli stabilimenti della Olivetti.
La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla procura generale di Torino contro la sentenza di assoluzione, pronunciata nell’aprile 2018, per tutti gli imputati. L’indagine era partita nel 2013 dalla procura di Ivrea, dopo che tra il 2008 e il 2013 erano morti dodici ex operai della Olivetti per mesotelioma, tumore che colpisce la membrana che riveste i polmoni e che può derivare da una prolungata esposizione all’amianto.
In primo grado De Benedetti era stato condannato a 5 anni e 2 mesi di prigione, così come suo fratello Franco. L’appello ha ribaltato quella sentenza, assolvendo il noto imprenditore. Decisione per la quale la Procura del capoluogo piemontese aveva fatto ricorso, che è stato rigettato dalla Cassazione.

Archiviata l’inchiesta Grandi Opere che costò le dimissioni all’ex ministro Lupi

ROMA – Non era neanche iscritto nel registro degli indagati eppure decise di dimettersi per le polemiche suscitate dall’inchiesta “Grandi Opere” avviata nel 2015 dalla procura di Firenze sulle presunte irregolarità negli appalti per la costruzione di Palazzo Italia, uno degli edifici più importanti costruiti per Expo 2015 nel capoluogo lombardo.
Alla notizia dell’archivizione da parte della procura di Milano di quell’indagine in cui il suo nome compariva in alcune intercettazioni e che per competenza territoriale la procura di Firenze aveva trasferito a Milano, l’allora Ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Maurizio Lupi, ha così commentato la vicenda sui suoi canali social: “Ero certo, come lo sono adesso, della correttezza del lavoro dei miei collaboratori al ministero e non ho mai contestato la legittimità delle indagini ma sempre il processo mediatico che ne è seguito e la sua strumentalizzazione politica”. E si domanda: “Chi ripagherà dei giorni terribili passati dalle persone coinvolte, le carriere rovinate, la sofferenza dei familiari?”.

18
sono i casi di errori giudiziari registrati in Italia nel 2018

895
sono i casi in Italia di ingiusta detenzione
registrati nel 2018

47,98 mln di € è quanto lo Stato ha sborsato nel 2018 a titolo di risarcimento per ingiusta detenzione

136
sono i casi in Sicilia di ingiusta detenzione
registrati nel 2018

5,75 mln di €
è quanto lo Stato ha sborsato nel 2018 per i risarcimenti dei casi di ingiusta detenzione in Sicilia

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