Anche gli uffici dell’Ars “bocciano” l’Autonomia del governo Meloni: il documento - QdS

Anche gli uffici dell’Ars “bocciano” l’Autonomia del governo Meloni: il documento

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Anche gli uffici dell’Ars “bocciano” l’Autonomia del governo Meloni: il documento

Chiara Billitteri  |
martedì 14 Marzo 2023

Diverse le critiche: dal tema dei Lep e della spesa storica al ruolo del Parlamento e al riconoscimento dell’insularità

Il disegno di legge Calderoli sull’Autonomia differenziata sta creando non poche polemiche. Non solo dalla parte politica, ma anche da quella più istituzionale, con l’Università della Campania che ha stroncato il ddl ipotizzando profili di incostituzionalità e numerosi giuristi che hanno sollevato dubbi sulla bontà di alcuni articoli. A questa lista si aggiunge un documento realizzato dal servizio studi dell’Assemblea regionale siciliana, dove oggi proseguirà il dibattito sul regionalismo differenziato e le sue criticità. 

Lep e “spesa storica” : le critiche degli uffici

Lo studio dell’Ars è chiaramente un documento tecnico, che analizza gli articoli del disegno di legge dal punto di vista delle leggi già in vigore, della Carta costituzionale e dello Statuto dell’Autonomia siciliana. Eppure, tra le righe, vengono fuori non poche critiche alle norme contenute nella proposta del ministro Calderoli, e numerose perplessità. Naturalmente anche i tecnici dell’Assemblea mettono in luce le problematiche riguardanti la questione dei Lep – livelli essenziali di prestazioni. Un dibattito su cui si sono spesi in tanti. Al Qds, ad esempio, il parlamentare regionale ed ex sindaco di Messina, Cateno De Luca, aveva spiegato come i Lep non possono essere garantiti se si parte già da un presupposto di divario economico tra Nord e Sud. E cioè, il tema della “spesa storica”. Scrive l’Ars: il disegno di legge Calderoli “provvede a determinare i Lep utilizzando i dati di spesa storica, considerando una quota di spesa per abitante e tenendo conto della produttività e della diversità della spesa in relazione all’ampiezza demografica, alle caratteristiche territoriali, con particolare riferimento al livello di infrastrutturazione del territorio”. La cabina di regia che dovrà stabilire i Lep “effettua una ricognizione della spesa storica a carattere permanente dell’ultimo triennio, sostenuta dallo Stato in ciascuna regione per l’insieme delle materie previste dalla Costituzione”. E’ indubbio, quindi, che come riferimento verrebbero presi i dati di spesa procapite degli ultimi anni, che, come ha ribadito De Luca, secondo l’Istat sono stati di 60 miliardi all’anno in più al Nord che nelle regioni del Meridione. Inoltre, i Lep secondo il nuovo disegno di legge si applicherebbero a numerosi settori, non più soltanto a sanità, istruzione e trasporto pubblico, ma, si legge nel documento dell’Assemblea, questo avverrebbe “a bilancio invariato” per le Regioni che dovrebbero “erogare le prestazioni sociali di natura fondamentale”. Inoltre, osserva l’Assemblea “la determinazione dei Lep è rimessa per intero ad uno o più atti di natura non legislativa del Governo”, nonostante la Costituzione attribuisca “la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni alla competenza legislativa dello Stato”. 

Il parlamento può solo dare un parere

“Di contro – si legge ancora nel documento –  il coinvolgimento del Parlamento è previsto attraverso la mera espressione di un parere, non vincolante, sullo schema del decreto del presidente del Consiglio, da rendere entro 45 giorni decorsi i quali il Governo procede ugualmente all’adozione dei decreti”.
E questo è un altro grande tema. Perché è stato ribadito da più parti che il ruolo del Parlamento, stando al progetto di legge di Calderoli, sarebbe fortemente ridimensionato. Questo perché secondo il ddl, e come scrive anche il servizio studi dell’Assemblea, il Parlamento sarebbe chiamato esclusivamente ad approvare o respingere le intese con le regioni, non a modificarle.

Il fondo perequativo

Ma il nodo più grande è forse quello del fondo perequativo. Uno strumento nato per mitigare le diseguaglianze tra le Regioni e garantire gli stessi standard di prestazione nell’erogazione dei servizi nonostante gli squilibri economico-sociali. Previsto dall’ex ministro Francesco Boccia per le “Regioni depresse e le aree interne”, Calderoli vorrebbe crearne uno unico senza fondi aggiuntivi per aree con particolari divari economici. Scrive l’Ars: “Si rammenta come il processo di attuazione dell’articolo 119 della Costituzione (quello che parla del fondo perequativo destinato anche a mitigare gli effetti negativi dell’insularità, ndr) sia tutt’ora in itinere, essendo ad oggi numerosi i provvedimenti attuativi non ancora adottati o non ancora pienamente in vigore. Si rammenta, inoltre, che la Corte costituzionale, con riferimento alle Regioni ordinarie, ha più volte chiarito che senza i necessari strumenti attuativi l’articolo 119, può esplicare solo limitatamente la propria portata innovativa”.

Le intese tra Stato e Regioni

Altra nota dolente è l’articolo 7 del ddl Calderoli, che rinvia alle singole intese tra Stato e Regioni il compito di stabilire la durata degli accordi, che comunque non potrà essere superiore a dieci anni. Si stabilisce che allo scadere del termine di durata, l’intesa si intende rinnovata per un uguale periodo di tempo, salvo che lo Stato o la Regione manifestino una diversa volontà almeno dodici mesi prima della scadenza, “con un meccanismo di tipo privatistico – commenta lo studio dell’Assemblea regionale – la cui trasposizione sul piano pubblicistico genera perplessità, soprattutto sotto il profilo del rispetto delle attribuzioni del Parlamento”. “Si rammenta poi  – continua il documento – che nella scorsa legislatura l’Assemblea ha approvato un ordine del giorno, sottoscritto da tutti i gruppi parlamentari, che impegnava il Governo a fare “una ricognizione e un’analisi dell’esperienza dell’autonomia regionale siciliana per verificare in quali termini e in quali ambiti l’autonomia statutaria abbia raggiunto la piena attuazione degli obiettivi prefissati dallo Statuto speciale”. Lo stesso ordine del giorno, poi, chiedeva al Governo nazionale di subordinare le intese con le tre Regioni (Emilia Romagna, Lombardia e Veneto) anche “al trasferimento di risorse alle Regioni fosse ancorato esclusivamente a oggettivi fabbisogni dei territori, escludendo ogni riferimento a indicatori di ricchezza; a che in ogni caso una quota dei fondi destinati allo sviluppo infrastrutturale, preventivamente determinata, fosse destinata agli investimenti e alla perequazione infrastrutturale nelle Regioni del Sud, al fine di colmare il deficit infrastrutturale e di sviluppo”. Tutte richieste rimaste, finora, inascoltate.

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