Whistleblowing Sicilia, alla Regione poche segnalazioni

Whistleblowing, alla Regione poche segnalazioni e manca la piattaforma informatica

Antonino Lo Re

Whistleblowing, alla Regione poche segnalazioni e manca la piattaforma informatica

Simone Olivelli  |
martedì 19 Settembre 2023

Uno strumento più articolato a difesa dell'interesse di ogni cittadino ad avere una pubblica amministrazione integra. Si presenta così la nuova normativa sul whistleblowing

Uno strumento più articolato a difesa dell’interesse di ogni cittadino ad avere una pubblica amministrazione integra. Si presenta così la nuova normativa sul whistleblowing, ovvero il sistema di tutele a favore di quanti segnalano violazioni all’interno degli uffici. Dagli illeciti di natura contabile, civile, penale o amministrativa al concreto sospetto di pratiche illegali nella gestione degli appalti, dalla cattiva gestione dei dati personali a comportamenti che possono rappresentare la spia di un rapporto corruttivo, è lunga la lista delle segnalazioni che i dipendenti pubblici, e con loro i privati che hanno avuto rapporti economici o di lavoro con la pubblica amministrazione, potrà essere fatta.

La disciplina che regola le tutele spettanti ai whistleblower è stata aggiornata la scorsa primavera dal governo nazionale. Un intervento arrivato con due anni di ritardo rispetto alla direttiva europea sul tema. Ad adeguarsi alle novità è stata di recente anche la Regione Siciliana, con una delibera del governo Schifani che ha accolto la proposta arrivata dalla responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza Emanuela Giuliano. Non tutto, però, messo a punto.

Segnalazioni via posta, in attesa di una piattaforma

La nuova legge prevede quattro canali di segnalazione: oltre alla divulgazione pubblica, per la quale bisogna che ci siano determinati requisiti come un imminente rischio per l’interesse collettivo, e alle denunce alle autorità giudiziaria, i due principali passaggi sono il canale interno all’ente in cui la violazione è stata commessa e quello esterno, gestito in maniera centralizzata da Anac, l’autorità nazionale anticorruzione.

A doversi dotare di canali interni saranno tutte le pubbliche amministrazioni oltre che le società private di una certa dimensione. Per le prime, come nel caso della Regione Siciliana, le segnalazioni potranno avvenire sia via posta ordinaria o elettronica, brevi manu oppure oralmente. La normativa prevede anche la possibilità di utilizzare piattaforme crittografate che garantiscano la sicurezza dal punto di vista informatico, ma non l’anonimato. “Alla base del sistema stesso del whistleblowing c’è la comunicazione delle generalità da parte del segnalante – spiega al QdS Emanuela Giuliano, che da anni alla Regione svolge il ruolo di responsabile per la prevenzione della corruzione – Va da sé che i dati da me acquisiti sono per legge sottoposti a protezione e non verranno diffusi. Ma conoscere l’origine della segnalazione è fondamentale anche per poterla esaminare e verificare”. Tuttavia, al momento, alla Regione manca la piattaforma informatica. “Quella che esisteva non è più adeguata alle nuove disposizioni normative – continua Giuliano – Ho già segnalato la situazione al governo regionale e all’Arit (Autorità regionale per l’innovazione tecnologica, ndr) che lavorerà per trovare una soluzione”.

Si fa strada l’ipotesi del riuso

La necessità di allinearsi con quanto previsto dalla nuova normativa, che prevede per l’Anac anche il potere di comminare multe fino a 50mila euro per gli enti che non predisporranno un canale interno per le segnalazioni, potrebbe portare la Regione a scartare l’idea di realizzare una nuova piattaforma. “I tempi per una gara d’appalto non sono compatibili con le nostre esigenze – dichiara al QdS Vitalba Vaccaro, dirigente generale di Arit – L’indirizzo è quello di sondare il mercato del riuso e attingere da lì”. A detenere il cosiddetto catalogo del riuso è l’Agid, l’Agenzia per l’Italia digitale. Tra sue le competenze c’è anche la promozione dell’utilizzo della licenza aperta finalizzata alla possibilità per la pubblica amministrazione di usufruire di soluzioni software già esistenti. “Non dovrebbero esserci problemi, se non quello di verificare esistano già applicativi che rispondono a tutte le richieste della nuova normativa”, specifica Vaccaro.

Numeri ancora troppo bassi

Il whistleblowing è uno strumento dalle grandi potenzialità ma che si scontra con una cultura che, ancora oggi, è rinvenibile a tutti i livelli istituzionali: il timore di farsi avanti legato alla possibilità di andare incontro a ritorsioni – nonostante la legge preveda specifiche tutele sia per il segnalatore che per parenti e colleghi che potrebbe essere oggetto di vendette trasversali – unito al senso di non appartenenza all’ente per cui si lavora sono ancora scogli difficili da superare. A dirlo sono le cifre delle segnalazioni raccolte negli ultimi anni dalla responsabile per la prevenzione della corruzione alla Regione. “Sono molto basse. Numeri? Diciamo che in cinque anni non arriviamo alla decina”, rivela Emanuela Giuliano, che sottolinea come le attività di sensibilizzazione del personale dipendente della Regione sono costanti. “Non ci occupiamo soltanto di whistleblowing, lavoriamo costantemente con i dipartimenti, specialmente quelli più a rischio, fornendo consulenza laddove necessario per il rispetto del piano triennale della prevenzione della corruzione”, sottolinea la responsabile.

Passi in avanti da fare su più fronti

Oltre alla componente culturale, a incidere nella bassa diffusione del whistleblowing potrebbe essere anche altro. A sostenerlo è Giorgio Fraschini, di Transparency International Italia. “Fare comparazioni con quanto accade in altre nazioni non è semplice. Il nostro è stato uno dei primi Paesi a livello europeo a dotarsi di normative sul tema – spiega l’esperto al QdS – Possiamo dire che c’è stato un periodo, fino qualche anno fa, che il numero di segnalazioni che giungevano all’Anac era abbastanza rilevante, poi però c’è stato un drastico calo”. Il motivo per Fraschini va individuato in una serie di elementi: “Hanno inciso una serie di fattori, tra cui sicuramente il numero residuali di provvedimenti sanzionatori presi da Anac nei confronti di soggetti che hanno attuato ritorsioni sui segnalatori. E questo di certo non ha giovato a diffondere fiducia. Inoltre – conclude il responsabile del whistleblowing per Transparency International Italia – vanno considerate le scelte dei tribunali: soltanto nei mesi scorsi è arrivato il primo caso di riconoscimento di una ritorsione subito da un segnalatore. E ciò nonostante la normativa preveda che l’onere di provare che il comportamento subito non sia correlato alla segnalazione spetti proprio a chi è accusato di avere attuato ritorsioni”.

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