Biden getta la maschera: “Genocidio” - QdS

Biden getta la maschera: “Genocidio”

Carlo Alberto Tregua

Biden getta la maschera: “Genocidio”

venerdì 15 Aprile 2022

Papa Francesco non va a Kiev

L’invito dell’attore Zelensky a Papa Francesco di andare a Kiev è stato messo con molta prudenza in naftalina: né si né no. Ma quando il Vaticano non si esprime, significa che non intende fare una certa cosa. Cioè non intende emulare la ridicola processione di tanti capi di governo, nonché della presidente dell’Unione europea, come se la capitale ucraina fosse diventata un posto sacro (simile a quello di Padre Pio).

Non si capisce, o forse si capisce, questa posizione subordinata alla propaganda statunitense, il cui presidente, Joe Biden, odia fortemente Vladimir Putin, anche perché quando un capo di Stato è debole al suo interno, cerca di dare all’opinione pubblica un feroce nemico contro cui combattere: la storia insegna.

Quanto affermiamo è confermato da un linguaggio triviale e fuori luogo, che lo stesso Biden usa ormai da tempo, tradendo la nobile tradizione americana fondata sulla tolleranza e sulla ricerca della pace e non della guerra, salvo casi eccezionali.

Perché questo linguaggio e questa visione che continua a gettare benzina sul fuoco anziché perseguire la pace? E, seconda domanda, perché parecchi dei ventisette Stati, come cagnolini, sono appoggiati a quell’insano comportamento?
Non si può che rispondere pensando ai fortissimi interessi economici che tutto questo ambaradan sta muovendo, soprattutto quelli riguardanti l’intero settore energetico e l’importantissimo (per Usa e non solo) comparto della produzione e fornitura di armi.

In questo quadro non si può sottovalutare la situazione economica del Paese nordamericano, che è colpito da una fortissima inflazione – come non accadeva da oltre trent’anni – da una limitata crescita del Pil e da un indebitamento dello Stato al di là di ogni ragionevolezza.
Gli Usa non hanno mai avuto una guerra nel secolo scorso. L’ultima guerra interna è stata quella di Secessione, conclusasi nel 1865.

È vero che hanno partecipato alla Seconda Guerra Mondiale, ma probabilmente perché sono stati colpiti dai giapponesi a Pearl Harbor il 7 giugno del 1941. Infatti prima di tale data avevano dichiarato la volontà di non partecipare al conflitto.

L’Ucraina è, tutto sommato, un paese russofono, nel senso che vi è una gran parte della popolazione che fa riferimento alla Federazione Russa, quella parte di popolazione che sembrerebbe essere stata minoritaria alle ultime elezioni. Una cospicua minoranza che è stata bandita dalla maggioranza, che ha espulso undici partiti di opposizione dal Parlamento, mortificando il principio essenziale della democrazia.

Di fronte a questo quadro, non sembra che vi sia la volontà di questa parte delle istituzioni ucraine, con in testa l’Attore, di arrivare a una conclusione, perché sollecitate dagli Usa a chiedere sempre di più, in modo da rendere molto difficile il trattato di pace con la Russia.
Sembra quasi che Zelensky voglia sacrificare il suo popolo sotto le insane bombe russe, perseguendo il principio del “tanto peggio, tanto meglio”. In effetti, sembra che egli voglia salvare se stesso e la sua cricca per ottenere un futuro dorato.

Ma allora, se il popolo ucraino non è difeso dai suoi rappresentanti, se è colpito dai missili russi, se è entrato in uno stato di grande sofferenza umana, com’è possibile che le parti non si rendano conto che è venuto il momento di finirla e di firmare il trattato di pace?
Quando vi sono interessi diversi da quelli del popolo, quest’ultimo continua a essere vittima di un processo insano di chi persegue il potere.

Sia ben chiaro, quello che scriviamo non offre alcuna, ma proprio alcuna, giustificazione al presidente russo. Mai e poi mai le controversie si risolvono con le armi, che creano morti e feriti. Mai e poi mai.
Ma non si può nascondere, almeno per chi non ha il prosciutto sugli occhi, che egli non sia stato fortemente provocato e quasi “costretto” a fare quello che ha fatto.

Chi guarda con vista acuta, non può non mettere a confronto azione e reazione, non può non evidenziare le responsabilità di chi promuove un’azione e di chi reagisce.

La verità deve emergere dal confronto di informazioni bilanciate. Non può essere a senso unico, come fanno tanti inviati che non rispettano il Codice deontologico dell’informazione e sparano fake news, volontariamente o involontariamente.

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