Blue economy per salvare il Mediterraneo dall’inquinamento e dal climate change - QdS

Blue economy per salvare il Mediterraneo dall’inquinamento e dal climate change

Paola Giordano

Blue economy per salvare il Mediterraneo dall’inquinamento e dal climate change

mercoledì 12 Febbraio 2020

Le proposte di Enzo Bianco, presidente del Consiglio Anci e membro del Comitato europeo delle regioni. Per l’ex sindaco di Catania occorre istituire un’autorità sovranazionale per i Paesi del bacino

BRUXELLES – Ogni minuto 30 mila bottiglie finiscono in acqua e, senza un’inversione di rotta, entro il 2050 in mare ci sarà più plastica che pesce. I numeri dell’emergenza climatica nel Mediterraneo prospettano uno scenario inquietante: ci si attende un aumento delle temperature nell’area di 2,2 gradi entro il 2040, con un riscaldamento più veloce del 20% rispetto alla media globale.

Sono questi alcuni dei dati rilevati nella relazione del presidente del Consiglio nazionale dell’Anci e membro del Cdr, Enzo Bianco, presentata lo scorso 24 gennaio, ad Assisi, nella plenaria dell’Assemblea regionale e locale euromediterranea (Arlem), promossa dal Comitato europeo delle Regioni (CdR) alla presenza del presidente Giuseppe Conte e del presidente del Parlamento Ue, David Sassoli.

Quello esposto da Bianco è un manifesto che punta a sviluppare nel Mediterraneo la cosiddetta Blue Economy, un modello di economia sostenibile capace di generare un impatto positivo e di lungo termine sulla salute dei nostri mari grazie alla trasformazione di sostanze precedentemente sprecate in merce redditizia. La parola d’ordine di tale modello è tutela – del mare, delle coste e dei fondali – e l’obiettivo che esso si prefigge è ambizioso: arrivare ad emissioni zero di anidride carbonica.

Tra i punti cardine della proposta di Bianco vi è l’istituzione di un’autorità sovranazionale dei Paesi del Mediterraneo che indichi azioni di contrasto al cambiamento climatico; standard e obiettivi comuni e misurabili per ambiente, economia e società; incentivi economici per la transizione e un graduale divieto di estrazione del petrolio e del gas metano. E che abbia precise linee guida, vale a dire obiettivi chiari e condivisi nel bacino del Mediterraneo per le energie rinnovabili, per l’economia circolare (compreso, naturalmente, l’uso razionale delle risorse) e per la riduzione dei rifiuti; divieto di prospezione ed estrazione di petrolio e gas metano nel Mediterraneo entro il 2030; regole e norme armonizzate nel bacino del Mediterraneo per acqua e rifiuti; raggiungere l’obiettivo di almeno il 10% di aree protette entro il 2025.

Un percorso tutto in salita, dunque, che mira però, come evidenziato da Bianco, ad un “nuovo protagonismo delle città e delle Regioni nella Blue Economy”. “L’Unione Europea – spiega Bianco nella relazione – dovrà essere un leader globale per definire questo percorso, anche favorendo la creazione di una organizzazione dei Paesi del Mediterraneo: occorre mettere in rete le esperienze già esistenti (Union for Mediterranean, West Med, UNEP MAP, 5+5 Dialogue). Questa organizzazione dovrà emanare direttive con il massimo valore legale possibile per tutti i Paesi del Mediterraneo che riguardino anche la riduzione dell’inquinamento marino”.

Oltre a questo, si dovranno poi definire standard e obiettivi sociali, economici e ambientali e un insieme di indicatori che permettano la loro misura oggettiva e si dovranno anche definire e abilitare strumenti economici per incentivare la transizione, consolidando gli strumenti finanziari della Unione Europea, compreso il piano pluriennale 2021-2027 per promuovere lo scambio di buone pratiche e per finanziare progetti pilota che consentano di costruire un elenco di storie di successo a livello locale e regionale.

Il piano proposto nel corso della plenaria ha ottenuto il lasciapassare da parte dell’Arlem: “Aver raggiunto un’intesa unanime su scelte radicali legate a un tema così delicato è di straordinaria importanza”, ha commentato Bianco, sottolineando la necessità di “ampliare la consapevolezza e la conoscenza dei dati su quanto avviene nel nostro mare, creare collaborazione e promuovere le rinnovabili”. Adesso però arriva la parte più difficile: trasformare le parole in fatti.

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