Depuratore di Lampedusa, il completamento slitta al 2025: il caso

Depuratore di Lampedusa, l’ennesimo “intoppo” per il progetto già al centro di un processo

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Depuratore di Lampedusa, l’ennesimo “intoppo” per il progetto già al centro di un processo

Simone Olivelli  |
giovedì 02 Maggio 2024

Una storia iniziata oltre un decennio fa e che non troverà il finale tanto atteso neanche nel 2024, tra contrattempi e indagini giudiziarie.

Anche il 2024 non sarà l’anno giusto per vedere completato il depuratore di Lampedusa. La notizia, che era nell’aria da qualche settimana, trova conferma in un decreto della Regione con cui viene rinnovata fino al 2025 l’autorizzazione provvisoria allo scarico dei reflui trattati nell’impianto, nonostante lo stesso non sia ancora pienamente operativo.

Si tratta dell’ultimo capitolo di una storia iniziata oltre un decennio fa e che lungo il proprio cammino ha incontrato una lunghissima serie di contrattempi, finendo anche al centro di un’indagine che ha coinvolto politici, imprenditori e funzionari, accusati a vario titolo di diversi tipi di reati. Da quelli ambientali all’abuso d’ufficio.

Il caso del depuratore di Lampedusa

Per consentire che nell’isola delle Pelagie, una delle mete turistiche più rinomate della Sicilia, i reflui urbani vengano trattati in maniera adeguata prima di finire in mare sono stati stanziati fin qui oltre dieci milioni di euro. Il primo livello di progetto, quello definitivo, risale al 2012. In seguito vennero messi a gara lo sviluppo dello stesso e la realizzazione delle opere, con l’appalto che andò alla Mondello, società di proprietà degli omonimi imprenditori gelesi che poi, qualche tempo dopo, trasferirono il contratto all’altra impresa di famiglia, la Nurovi.

Le attività di cantiere per il depuratore di Lampedusa, però, non sono mai decollate, tra rallentamenti e presunte inadempienze che hanno portato prima al sequestro dell’impianto da parte del tribunale nel 2018 e poi, tre anni dopo, alla decisione della Regione Siciliana di risolvere il contratto con l’impresa “per grave inadempimento e ritardo”.

Mentre la vicenda si faceva strada all’interno degli uffici della Procura, alla pubblica amministrazione non è rimasto altro da fare che cercare chi dovesse completare l’opera. La scelta è ricaduta sulla Cooperativa Edile Appennino (Cea), società che aveva partecipato all’originaria gara d’appalto e che ha accettato di farsi carico della parte restante dei lavori alle condizioni fissate nell’aggiudicazione. Per arrivare alla ripresa del cantiere si è dovuto attendere settembre del 2022, per poi arrivare – ad agosto dello scorso anno – all’avviamento della minima linea di depurazione, ovvero la fine della prima delle tre fasi in cui è stato suddiviso il progetto.

Necessità di avere più tempo

Lo svolgimento dei lavori si è accompagno al rilascio da parte della Regione di autorizzazioni allo scarico dei reflui lavorati nell’impianto. Provvedimenti a tempo determinato che sono stati di volta in volta rinnovati e che a Lampedusa si credeva potessero essere archiviati già quest’anno, in concomitanza con la conclusione dei lavori. Così però non sarà: “Il termine di validità del Ddg 856 del 28 luglio 2023 è prorogato dal 30 aprile 2024 al 31 agosto 2025”, si legge nel decreto firmato dal dirigente del servizio 1 dell’assessorato all’Energia Mario Cassarà.

All’origine della decisione c’è la sospensione del cantiere disposta dal direttore dei lavori a inizio novembre, in concomitanza con la presentazione di una perizia di variante che, in quanto suppletiva, dovrebbe comportare un’integrazione alle somme a disposizione dell’impresa esecutrice. La stessa Cea, poche settimane fa, ha fatto presente alla Regione che “la ripresa a pieno regime dei lavori potrà avvenire a seguito dell’approvazione della perizia e che si prevede che il completamento di tutti i lavori dell’appalto durerà presumibilmente otto mesi a far data dalla loro completa ripresa”.

Calendario alla mano, secondo l’azienda le ultime linee di trattamento dei reflui dovrebbero essere costruite entro la fine di febbraio dell’anno prossimo, mentre entro fine aprile potrebbe avvenire “la messa a regime e l’avviamento dell’impianto nella sua configurazione finale”.

Condivise le valutazioni, la Regione ha esteso i termini che autorizzano l’immissione in mare dei reflui trattati alle condizioni attuali. Prevedendo che una volta completato l’impianto, nel giro di tre mesi dovrà essere garantito l’abbattimento del 60% dei parametri Bod5, Cod e Sst, ovvero di tre degli indicatori utili a determinare la salubrità delle acque.

“Speravamo che le opere potessero concludersi entro l’anno in corso, ma a quanto pare così non sarà – commenta al Quotidiano di Sicilia il sindaco di Lampedusa Filippo Mannino – È inutile sottolineare l’importanza, dal punto di vista della tutela dell’ambiente e delle condizioni igienico sanitarie di chi vive a Lampedusa, di avere il più presto possibile un depuratore pienamente efficiente”.

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Il processo

A metà aprile, la pm Giulia Sbocchia ha chiesto al gup del tribunale di Agrigento di mandare a processo 16 persone per i fatti legati al mancato trattamento dei reflui fognari prodotti nell’isola. Tra gli imputati che attendono di sapere se dovranno affrontare il processo ci sono anche nomi eccellenti, a partire dagli ex primi cittadini Giusi Nicolini e Salvatore Martello. Alla sbarra anche i vertici della Nurovi Emanuele Mondello, Mattia Mondello e Nunziatina Cannizzo, alcuni dei funzionari coinvolti nella procedura di affidamento dell’appalto e pure due vertici della burocrazia regionale come Maurizio Pirillo e Salvatore Cocina, in tempi diversi dirigenti generali del dipartimento Acque e Rifiuti.

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