Arresto Messina Denaro, un anno dopo: intervista ad Asaro

Arresto Messina Denaro, un anno dopo l’omertà resiste e “non siamo sulla strada della legalità”

redazione

Arresto Messina Denaro, un anno dopo l’omertà resiste e “non siamo sulla strada della legalità”

Roberto Greco  |
martedì 16 Gennaio 2024

Poco è cambiato dopo l'arresto del boss. Intervista al procuratore capo di Marsala, Fernando Asaro: “C’è ancora una forte diffidenza nei confronti dello Stato”.

MARSALA (TP) – Era il 16 gennaio 2023 quando la notizia rimbalzò velocemente per tutta l’Italia e non solo. Dopo 30 lunghi anni di latitanza era stato arrestato Matteo Messina Denaro. Il boss si trovava a Palermo, alla clinica Maddalena in via San Lorenzo, per una visita medica. Sin dalla notte precedente il blitz che fu operato dai Carabinieri del Ros, l’ospedale è stato circondato dai carabinieri del Ros che hanno limitato sia l’accesso sia l’uscita dalla struttura.

Dopo il suo arresto, sono stati scoperti i suoi covi ed è stato sequestrato materiale che, ancora oggi, è al vaglio degli investigatori. Dalle indagini è emersa una rete di protezione che ne ha protetto e facilitato la latitanza. Una rete a maglie strette che ha potuto contare sul supporto familistico e di quella che il procuratore De Lucia, subito dopo l’arresto, definì “borghesia mafiosa”. Coperture eccellenti? Sodali di rilevanza nazionale?

Indagini ancora in corso

Le indagini, nonostante la morte del Messina Denaro avvenuta nella notte tra domenica 24 e lunedì 25 settembre all’ospedale San Salvatore a Coppito, in provincia de L’Aquila nel cui supercarcere era detenuto, sono tutt’ora in corso. Matteo Messina Denaro era considerato uno degli eredi dei corleonesi, l’ala dura di Cosa nostra che prese il sopravvento nella guerra di mafia degli anni Ottanta e che lanciò la sfida allo Stato con la strategia stragista del 1992 e 1993, ma Matteo Messina Denaro, sconfitto nella notte da un tumore al colon, aveva poco in comune con lo stile di vita di Totò Riina e Bernardo Provenzano, se non per gli ergastoli e la ferocia assassina.

Nel supercarcere dove è stato interrogato più volte dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido, ha ricordato che se non fosse stato per il tumore al colon non sarebbe stato catturato ma soprattutto ha sempre ribadito “con voi parlo, ma non collaborerò mai”. Ma, a distanza di un anno, cosa è cambiato in quel territorio, quella Campobello di Mazara che l’ha ospitato negli ultimi anni della sua vita e in quella Castelvetrano che gli ha dato i natali?

Il QdS l’ha chiesto Fernando Asaro, Procuratore Capo della Repubblica di Marsala, competente per territorio.

Matteo Messina Denaro, cosa è cambiato un anno dopo l’arresto

Procuratore, Lei si insediato il 17 gennaio del 2023, esattamente il giorno dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro. Qual è stato l’impatto con il territorio?
“Certamente fu un giorno di grande festa, quel 17 gennaio dello scorso anno. Grande festa e grande emozione proprio perché lo Stato aveva vinto, in quell’occasione, grazie alla cattura di Matteo Messina Denaro. Inoltre, devo aggiungere, un’emozione per il pensiero che correva a quanti non ci sono più e che hanno contribuito a questo grande obiettivo. Ho trovato un ambiente, quello della Procura e del Tribunale, colmo di grande disponibilità, professionalità e capacità. Per quello che riguarda la Procura, ho trovato un ambiente particolarmente attrezzato e una grande passione che proprio in quei giorni si leggeva negli occhi dei giovani colleghi per il risultato raggiunto grazie al lavoro del dottor De Lucia e del dottor Guido che ha consentito di raggiungere questo grande obiettivo per lo Stato e per questo territorio”.

La Procura che Lei oggi regge è stata la Procura del dottor Cesare Terranova e anche del dottor Borsellino, prima del suo ultimo incarico a Palermo. C’è un’emozione di fondo nel camminare lungo gli stessi corridoi, occupare lo stesso ufficio?
“In realtà non è lo stesso palazzo, perché Tribunale e Procura sono stati trasferiti nel 2019 nella nuova struttura. Sono però stato in quel vecchio Palazzo, ho percorso quei corridoi e, proprio nell’ufficio che occupava Paolo Borsellino, avverrà tra non molto l’inaugurazione del museo a lui dedicato. Non rappresenterà solo un momento di ricordo e memoria ma l’assunzione della consapevolezza che se noi oggi siamo qui e siamo magistrati nella realtà marsalese, è perché c’è stato un modo di essere magistrato da parte di chi ci ha preceduto. L’emozione, per me, è viva e profonda soprattutto perché mi sono formato nella Palermo degli anni ‘70 e ‘80. In quegli anni ‘80 ero studente universitario e giovane cittadino. Sono stati anni caratterizzati da una vera e propria rivoluzione anche all’interno della magistratura e i riferimenti erano quei magistrati. La loro rivoluzione riguardava processi fatti ‘con il codice in mano’. Al mio insediamento a Marsala ho invitato Manfredi, il figlio di Paolo Borsellino che non sono riuscito a conoscere personalmente perché sono entrato in magistratura tre mesi dopo la sua morte ma che è stato, ed è, un punto fondamentale di riferimento professionale e morale”.

A un anno di distanza, anche grazie all’arresto di Messina Denaro, ha notato qualche mutamento? A suo giudizio il territorio ha reagito positivamente e si è liberato di quella coltre di sudditanza nei confronti del sistema mafioso?
“Per quanto concerne la mia competenza, che riguarda la Procura ordinaria nel circondario di Marsala, che comprende anche Castelvetrano e Campobello di Mazara, posso dire che il ‘tappo’ è saltato. Mi spiego meglio. Quell’alibi per cui certe cose non si vedevano e non faceva giungere notizie di reato, con la cattura di Messina Denaro, non c’è più. Mi aspettavo, nell’arco di questo anno, un incremento delle notizie di reato che affluiscono alla Procura ordinaria nei temi di nostra competenza, ossia criminalità economica, caporalato, reati ambientali, usura o reati contro la pubblica amministrazione ma, in realtà questo non è successo. Questo significa che c’è ancora una forte diffidenza nei confronti dello Stato e, soprattutto, dimostra un perdurare del comportamento ancora omertoso. Questo è il bilancio, è sparito l’alibi ma questo non si è trasformato in un rispetto della legalità e in un aumento dell’indice di legalità in questo territorio attraverso le denunce e le notizie di reato che pervengono. Da questo punto di vista siamo ancora arretrati e, al contrario, si è assistito a un incremento degli esposti anonimi a fronte dei quali possiamo fare nessun uso processuale, segno che la comunità è ancora condizionata e omertosa a causa del contesto ambientale in cui opera. Da parte dello Stato, proprio in questo momento, dopo il suo arresto e la sua morte, è necessario rafforzare la presenza dello Stato e le sue articolazioni in questo territorio, senza abbandonarlo, per riprendere quel controllo che in parte è mancato per molto tempo e che non ha consentito di acquisire e rafforzare i principi di legalità. Il nostro obiettivo, come Procura ordinaria, è intervenire in maniera diretta per riprendere quel controllo del territorio che, per troppo tempo, è stato delegato alle organizzazioni mafiose. Questa autostrada della legalità che oggi dobbiamo percorrere parte da lontano, da quel sentiero tracciato da Paolo Borsellino, al tempo pieno di curve, zone buie”.

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