Guerra Israele - Hamas, tregua lontana: Ghali è caso politico

Ghali a Sanremo è un caso politico mentre la guerra Israele-Hamas continua. Onu: “Si rischia massacro”

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Ghali a Sanremo è un caso politico mentre la guerra Israele-Hamas continua. Onu: “Si rischia massacro”

Marianna Strano  |
mercoledì 14 Febbraio 2024

Si continua a discutere della frase "Stop al genocidio", ma anche le autorità internazionali ricercano una soluzione politica al conflitto.

Sanremo è da sempre il Festival della canzone italiana ma anche un evento in cui si scatenano polemiche su temi di interesse pubblico: è il caso dell’edizione del 2024, che ha visto il concorrente Ghali e le sue parole sulla guerra tra Israele e Hamas diventare un vero e proprio argomento di discussione a livello nazionale e internazionale.

La reazione della Rai prima, quella della politica e delle autorità poi, continuano a far discutere anche a diversi giorni dalla fine del Festival. E – con le proteste in corso dopo il comunicato della Rai su quanto accaduto – è probabile che si parlerà dell’aspetto “sociale” della kermesse ancora per un po’ di tempo.

Le parole di Ghali sulla guerra Israele – Hamas

Stop al genocidio“. Queste le parole che hanno scatenato un piccolo “inferno” sociopolitico durante la serata finale di Sanremo 2024, che ha visto il cantante di “Casa mia” classificarsi al quarto posto. Il riferimento del cantante – milanese, con genitori di origini tunisine – è naturalmente agli orrori di Gaza. Lì, ha spiegato Ghali durante la puntata speciale di “Domenica In” dopo il Festival, ci sono bambini innocenti, che magari sognano un futuro da cantanti, medici, avvocati, politici… E i loro desideri sono distrutti dalle bombe provocati non dai civili palestinesi, ma dalla risposta armata di Israele agli attacchi di Hamas – che è un’organizzazione e non uno Stato – nel corso dello “Shabbat di sangue” dello scorso 7 ottobre.

Guerra Israele – Hamas, le risposte alle parole di Ghali

Di appelli contro la guerra non ne sono mancati durante il Festival di Sanremo. Ne hanno parlato in tanti oltre Ghali, compreso un altro concorrente (Dargen D’Amico). Nessuno, però, ha usato la parola genocidio, prendendo una posizione decisamente divergente rispetto a quella del Governo e del cosiddetto mondo “occidentale” sull’azione di Israele. L’ambasciatore israeliano Alon Bar non ha tardato a replicare: “Ritengo vergognoso che il palco del Festival di Sanremo venga sfruttato per diffondere odio e provocazioni in modo superficiale e irresponsabile”.

A “placare gli animi” dopo la polemica del caso Rai è stato il comunicato dell’Ad Rai Roberto Sergio, letto da Mara Venier a Domenica In: “Ogni giorno i nostri telegiornali e i nostri programmi raccontano e continueranno a farlo, la tragedia degli ostaggi nelle mani di Hamas oltre a ricordare la strage dei bambini, donne e uomini del 7 ottobre. La mia solidarietà al popolo di Israele e alla Comunità Ebraica è sentita e convinta”.

Le parole di Tajani e le proteste contro la Rai

È proprio il caso di dire che le parole di Ghali a Sanremo sulla guerra tra Israele e Hamas è diventato strettamente politico. C’è chi ha parlato di “censura” e chi protesta contro la reazione della Rai, di certo non a favore delle parole del cantante.

Il clamore suscitato dalla questione è stato talmente tanto forte da richiedere l’intervento del ministro degli Esteri Antonio Tajani. Per il rappresentante di Forza Italia “I messaggi devono essere sempre equidistanti” e quelli di Ghali e Dargen D’amico non lo erano in quanto mancava “un messaggio a tutela degli ostaggi (israeliani, ndr). Il ministro si è detto soddisfatto dell’intervento della Rai, “che ha riequilibrato la situazione”. “È giusto dire basta con i morti civili palestinesi, ma allo stesso tempo è giusto dire che c’è un responsabile di tutto ciò che è accaduto. Non possiamo dimenticare le vittime innocenti israeliane, non possiamo non chiedere la liberazione degli ostaggi. Serve sempre da parte italiana grande equilibrio, se si vuole la pace”, ha aggiunto.

Tuttavia, sembra che una parte della popolazione abbia risposto negativamente a quello che è apparso come un tentativo di censurare i messaggi pro-Palestina. Durante il corteo a Napoli sotto la sede Rai ci sarebbero stati anche dei feriti: segno che la tensione è forte e che la guerra tra Israele e Hamas è un evento che ha risvegliato la coscienza collettiva in maniera inaspettata.

Ore decisive per la guerra

La guerra è a un punto di svolta. Al centro del mondo – metaforicamente parlando – in questo momento c’è Rafah, a sud di Gaza, dove si teme un attacco massiccio di Israele che – secondo l’Onu, che ha lanciato l’allarme – “si rischia un massacro“. Le prossime 24 ore saranno decisive per raggiungere il “cessate il fuoco”: a Doha (Qatar, uno degli Stati più impegnati nella mediazione) è arrivato il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, per incontrare il capo dell’ufficio politico di Hamas, Ismail Haniyeh. I due hanno discusso della “necessità di porre fine all’aggressione e ai crimini del regime sionista contro la popolazione di Gaza e della Cisgiordania” e di fornire aiuti umanitari a Gaza.

Ciò nonostante, Israele continua l’operazione di terra e non cambia linea mentre elabora un piano per liberare gli ostaggi del 7 ottobre. Nel frattempo, si registrano anche nuovi raid Usa-UK in Yemen, altra terra “calda” di un conflitto che appare sempre più ampio.

“Serve de-esclation”

In Italia, il tema della guerra in Israele continua a essere al centro del dibattito. Dopo una telefonata tra la premier Giorgia Meloni e la segretaria del Pd Elly Schlein, c’è un accordo: il Governo si impegna a chiedere “un immediato cessate il fuoco umanitario a Gaza“, in sinergia con l’Ue e a ricercare una soluzione politica al conflitto.

Interviene nuovamente anche il ministro Tajani, che pur sottolineando l’orrore che avviene a Gaza a danno dei civili, rinnova il messaggio di vicinanza a Israele. “Ci sono troppe vittime civili palestinesi, questo è un dato di fatto. Ma questo non a nulla a che vedere con il diritto di Israele a attaccare Hamas, questo non è mai stato messo in discussione. Israele ha il diritto di reagire e attaccare Hamas, ma la reazione deve essere proporzionata”. Per il ministro – e per la comunità internazionale, in realtà – ciò che serve in questo momento è “nell’interesse di tutti lavorare per una de-escalation“. “Senza uno stato palestinese rischiamo che Hamas diventi l’unica speranza per i palestinesi”, ha aggiunto il vicepremier, sostenendo il dialogo con i Paesi arabi e tutte le parti coinvolte al fine di una risoluzione positiva del conflitto con una soluzione a lungo termine senza spargimenti di sangue.

Immagine da Adnkronos

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