Il Lavoro si festeggia lavorando - QdS

Il Lavoro si festeggia lavorando

Carlo Alberto Tregua

Il Lavoro si festeggia lavorando

martedì 09 Maggio 2023

Milioni di italiani/e in attività 24 ore su 24

Lo scorso Primo maggio è stata festa nazionale per celebrare il Lavoro, con i soliti riti a base di canzonette, ricchi premi e cotillons.
Concordiamo pienamente che il Lavoro sia un’attività sacra perché rende liberi, consentendo a ciascuno di reperire quanto gli serve per vivere decorosamente con la propria famiglia.
Per raggiungere questo obiettivo preliminare di libertà, è necessario acquisire competenze, per cui ogni cittadino/a è in condizione di confrontarsi con il sistema delle imprese e ottenere ciò che vuole se può dare ciò che l’altra parte chiede. Ecco il presupposto di un corretto andamento della domanda e dell’offerta di lavoro.
Invece, in questi tempi nel nostro Paese si è verificata una stranezza e cioè che nonostante vi sia una grande quantità di offerta di lavoro e di domanda di lavoro, le due parti non si incrociano, come se vi fossero una spina a due punte e una presa a tre fori.

Notiamo un’altra anomalia di alcuni rappresentanti dell’opinione pubblica e cioè che continuano a esaltare il tempo libero come se esso fosse più importante del lavoro. Si tratta di un comportamento diseducativo, perché nell’ordine dei valori prima viene il lavoro e poi viene il tempo libero, che si può godere solo se meritato; come ci si deve sempre chiedere se il compenso che si riceve per il proprio lavoro, fisso o variabile, sia stato adeguato rispetto alla prestazione data.

In altri termini, la questione si poggia sugli eterni valori etici, che mettono in equilibrio i vari fattori in modo che essi siano bilanciati e che nessuna prestazione o contro-prestazione prevalga. Servono equità e buonsenso nel determinare ciò che è necessario rispetto a ciò che non lo è.
Il Primo maggio dovrebbe essere il giorno in cui questi valori eterni vengano pubblicizzati da quotidiani, radio, televisori e siti, ma, con vivo disappunto, dobbiamo notare che non abbiamo né visto né sentito alcunché al riguardo, salvo frizzi e lazzi.

Cos’è questa storia che bisogna riposare necessariamente sabati, domeniche, di notte e feste comandate? Vi sono alcuni sindacati che chiedono che i negozi chiudano certi giorni la settimana e che non bisognerebbe lavorare di notte per proteggere i/le lavoratori/trici.
Si tratta di un oltraggio alla dignità di milioni di italiani/e – fra cui medici, componenti di Forze dell’Ordine, pubblici dipendenti, dipendenti privati nella distribuzione, nella ristorazione e nell’accoglienza, altri che gestiscono musei e affini e via elencando – i/le quali lavorano proprio perché altri/e cittadini/e possano usufruire di tutti i servizi loro occorrenti.
Se allarghiamo lo sguardo al mondo, dagli Stati Uniti alla Cina (ormai in stretta competizione), si lavora ampiamente 24 ore su 24, sette giorni su sette, anche perché tutti quelli che lavorano fuori dall’orario ordinario ricevono adeguati compensi sotto forma di straordinario festivo o notturno.
Siamo convinti che se interpellassimo tutti i dipendenti che vanno fuori orario normale, riceveremmo risposte favorevoli a un ampliamento dell’orario ordinario.

Il ragionamento che precede non riguarda ovviamente la Pubblica amministrazione, perché in quell’ambiente non esistono il Piano organizzativo dei servizi (Pos) o regole eque e precise che consentano il bilanciamento fra prestazioni e contro-prestazioni. La conseguenza è che non importa la produttività dei servizi, cioé la quantità degli stessi prodotti nel periodo lavorativo, né importa la loro qualità.
Insomma, nella Pa importa solamente la presenza da una certa ora ad un’altra ora. Tutto ciò perché manca la responsabilizzazione personale e professionale dei/delle dirigenti, ai/alle quali si corrispondono compensi a prescindere dai risultati.

Ecco la spiegazione dello sfascio che esiste in tutti i livelli della Cosa pubblica, a fronte del quale i governi che si sono susseguiti, non sono mai stati capaci di trovare soluzioni innovative ed efficienti, per porre fine a uno sconcio testimoniato dal malessere dei/delle cittadini/e che non ricevono servizi adeguati.

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