Pil, la Sicilia arranca: +2,3 mld nel 2022. La Lombardia cresce 5 volte di più: +11 mld - QdS

Pil, la Sicilia arranca: +2,3 mld nel 2022. La Lombardia cresce 5 volte di più: +11 mld

redazione

Pil, la Sicilia arranca: +2,3 mld nel 2022. La Lombardia cresce 5 volte di più: +11 mld

Patrizia Penna e Michele Giuliano  |
giovedì 28 Dicembre 2023

Istat, ricchezza prodotta nell’Isola vale appena il 4,9% di quella nazionale. Quella lombarda, invece, il 22,8%

Il Prodotto interno lordo della Sicilia rappresenta nel 2022 appena il 4,93% di quello nazionale. Quello della Lombardia, invece, il 22,8%. La Sicilia nel 2022 è cresciuta di 2,3 miliardi, la Lombardia di 11 miliardi, cioè quasi cinque volte di più. Sono alcuni dei dati diffusi dall’Istat e che si riferiscono al Pil a prezzi di mercato (valori concatenati con anno di riferimento 2015).

Patto di Stabilità, manovra di Bilancio: la “tenuta” dei conti pubblici del nostro Paese ha infuocato il dibattito politico di questo ultimo scorcio di anno. “La coperta è corta”, abbiamo sentito spesso ripetere. E in effetti, inflazione, crisi globale e alto debito pubblico hanno rappresentato una sorta di “mix letale” di fattori di rallentamento della crescita economica, con effetti più marcati in quelle zone del Paese che risultano di fatto più fragili. Il Prodotto interno lordo italiano, riporta ancora l’Istituto nazionale di Statistica, ha raggiunto quota 1.768 miliardi di euro nel 2022, registrando un +3,7% rispetto all’anno precedente.

Uno Stivale che procede a due velocità

Se, dunque, complessivamente il nostro Paese è riuscito a dimostrare una grande capacità di resilienza, il gap Nord-Sud si fa sempre più marcato e continua a condizionare lo sviluppo di tutto il territorio nazionale.I numeri forniti dall’Istat, da soli, raccontano un divario che la politica ha provato negli anni a colmare. Ma l’assenza di una strategia complessiva ha trasformato intenti e proclami in un nulla di fatto. Ed è questo il motivo per cui ci ritroviamo ogni volta a raccontare uno Stivale che procede a due velocità, a ragionare su una distanza che diventa sempre più siderale. Basta guardare i numeri: la ricchezza prodotta nella nostra Isola nel 2022 si attesta a 87,2 miliardi (contro gli 84,9 miliardi del 2021), quella prodotta in Lombardia ha sfondato quota 403 miliardi (contro i 392 miliardi dell’anno precedente). Se poi guardiamo all’intervallo 2013-2022, possiamo vedere che la Sicilia ha addirittura perso per strada mezzo punto percentuale (nel 2013 il Pil era 87,6 miliardi!) mentre la Lombardia ha guadagnato il 12,6%.

Il Governo Meloni riparte dalla Zes unica

Intanto, il Governo Meloni riparte dalla Zes unica annunciando che la misura introdotta dalla legge n. 162/2023 porta con sé un potenziale di 70mila nuovi posti di lavoro. “Un’occasione da sfruttare”, ha detto ieri il vicecapogruppo di Fratelli d’Italia alla Camera, Alfredo Antoniozzi. “Il governo Meloni ha introdotto una misura che può concretamente portare risultati nel Sud e portare a un incremento della occupazione in termini significativi. Si tratta di una risposta operativa alla crisi economica e anche di un’iniziativa che tende a supportare il Mezzogiorno con investimenti produttivi. È importante coglierla – ha aggiunto Antoniozzi – definendo le aree industriali e coordinando il lavoro con le Regioni”. La logica produttiva e non assistenzialista che punta ad attrarre investimenti piuttosto che a ragionare in termini di elemosina è certamente un ottimo punto di partenza ma da solo non scioglierà in tempi celeri tutti quei nodi che la politica ha scelto per decenni di non vedere.

Pubblica amministrazione senza qualità, Iqi: per la Sicilia numeri sconfortanti

È enorme il deficit siciliano in termini di qualità istituzionale. Un risultato che viene fuori dai dati ma che viene vissuto, ogni giorno, in termini di farraginosità delle norme, burocrazia asfissiante, poca efficienza della giustizia.

Sono tanti gli elementi che “l’Institutional Quality Index” (Iqi) prende in considerazione, e permette di fare un quadro abbastanza dettagliato dello stato di un territorio: considera i servizi pubblici, l’attività economica territoriale, la giustizia, la corruzione, il livello culturale e la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Le province isolane, purtroppo, non brillano in alcun modo e i numeri vengono rispolverati in questi giorni dalla Cgia di Mestre. In una scala dell’Iqi che va da 0 a 1, la media regionale si ferma a 0,194.

I risultati migliori a Messina, che sale a 0,316, posizionandosi così 90esima su 106 province italiane.
Subito dopo, Siracusa, a 0,265, al 91esimo posto. Si scende di poco per Agrigento, a 0,242, alla 94esima posizione. Cifra tonda, posizione 100 per Enna, a 0,171. Quindi, sfilano Palermo, a 0,157, Catania e Trapani, a 0,134, Caltanissetta a 0,103, che occupano i posti che vanno da 101 a 104. Peggio, soltanto Crotone e Vibo Valentia. Per buona parte dei territori regionali, poi, è stato segnalato un peggioramento, tanto che soltanto Agrigento e Enna si trovano in una posizione migliore rispetto a quella coperta nella precedente rilevazione.

Il confronto è impietoso con la cima della classifica: se Trento si posiziona al primo posto con punteggio pieno, subito dopo c’è Trieste, a 0,957, e Treviso, a 0,924. Bisogna giungere alla 67esima posizione, con Lecce, perché si scenda sotto “la sufficienza”, a 0,497. L’indicatore non è da sottovalutare: ideato nel 2014 dalla professoressa Annamaria Nifo e dal professore Gaetano Vecchione dell’università degli studi di Napoli Federico II, è costruito su 5 dimensioni: “Voice and accountability”, la partecipazione alla vita pubblica dei cittadini e il loro livello di istruzione e culturale; la “government effectiveness”, la presenza di infrastrutture anche digitali e servizi, la qualità ambientale e il tasso di raccolta differenziata; la “regulatory quality”, che considera l’apertura dell’economia, l’attività imprenditoriale nel territorio e la presenza di dipendenti della Pubblica amministrazione; il “rule of law”, che sintetizza i tassi di criminalità, l’efficienza della giustizia civile, l’economia sommersa e l’evasione fiscale; in ultimo, la “corruption”, i crimini contro la Pa e la cattiva amministrazione.

Il risultato che emerge dall’applicazione di questo parametro ci consegna un Paese spaccato a metà; se i livelli di eccellenza più elevati della Pa a livello territoriale si concentrano prevalentemente al Nord, quelli più modesti, invece, si trovano al Sud. “Alcuni studi dimostrano – scrivono dalla Cgia di Mestre – che in Italia la produttività media del lavoro delle imprese private è più elevata nelle zone con una amministrazione pubblica più efficiente. Non solo. L’inefficienza della Pubblica amministrazione ha un impatto economico negativo maggiore per le piccole imprese piuttosto che per le grandi, ostacolando, in particolar modo, gli investimenti.

L’Amministrazione finanziaria e i trasporti sono i settori maggiormente sensibili per le imprese; nelle province dove questi due settori sono di maggiore qualità, anche la produttività del lavoro a livello di impresa è più alto”.
Un aiuto dovrebbe arrivare dall’utilizzo dei fondi del Pnrr: con 145 misure nuove o modificate, il Piano si focalizza su settori chiave quali la giustizia, gli appalti pubblici e la concorrenza, mirando a potenziare la resilienza e la competitività dell’Italia nel contesto europeo e globale.

Questo comporterà un incremento degli investimenti che interesseranno anche la Pa, in particolar modo la giustizia, i contratti pubblici, la concorrenza, i ritardi di pagamento. (mg)

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