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Franco Gabrielli  |
giovedì 21 Luglio 2022

L’anima un tempo era tutta alata. Abitava con gli dèi, contemplando la Bellezza incorruttibile di Lassù

di Fabio Gabrielli
Filosofo

L’anima un tempo era tutta alata. Abitava con gli dèi, contemplando la Bellezza incorruttibile di Lassù. Perse le ali e precipitata nei corpi, a contatto con la bellezza di questo mondo, come scossa da una brivido, si accende di divorante nostalgia e di erotico desiderio per la Bellezza originaria. Essa, in questo modo, rifiorisce e riacquista le ali smarrite da tempo.

È Platone che ci consegna questa immagine suggestiva e potente: all’origine della bellezza c’è un brivido, una scossa, un urto che ci trasforma e ci rigenera. Potremmo parlare di una sorta di estetica della ferita, della bellezza come ciò che produce una slabbratura nel nostro quotidiano, una frattura che ci sgomenta, ci fa arretrare, ci costringe a cambiare la nostra vita. È questa la sorpresa come produzione di senso, come trauma che riorienta l’intera nostra esistenza.

All’improvviso la scena umana è illuminata da qualcosa che ci attrae fino a sgomentarci, a svellere il quotidiano per aprire un nuovo modo di percepire le cose. Il brivido della bellezza segue sostanzialmente due logiche: la logica dello stupore; la logica della gioia e della durata.

Per quanto riguarda la prima logica, lo stupore innesca, come sentimento originario, ogni nostra forma di conoscenza. Esso, come ha sottolineato il filosofo Silvano Petrosino in un libretto agile e intenso, Lo stupore (Interlinea edizioni), non rinvia al semplice vedere ma al saper vedere, al cogliere nell’ordinario lo splendere di qualcosa che ci attrae fino a sgomentarci, producendo brividi di bellezza. Stiamo parlando di un’esperienza eccezionale, non dell’eccezionale: un oggetto, un dettaglio, la particolare sfumatura di un volto che per gli altri sono ordinari, ma per noi risplendono fino a illuminare e animare tutta la scena.

La logica della gioia e della durata, invece, imprime al brivido di bellezza una continuità, una narrazione, una trasformazione prima immediata poi duratura nella nostra vita.

Qui si determina e struttura la gioia come fioritura della nostra potenza di esistere La gioia è bellezza, poiché, disponibile alla vita, in sua fiduciosa attesa, contro ogni retorica apocalittica del sacrificio, si fa riempire dal tempo, lo gusta senza guastarlo.

Come scrive in una pagina formidabile F. Nietzsche: “Il lento dardo della bellezza. La più nobile specie di bellezza è quella che non trascina a un tratto, che non scatena assalti tempestosi e inebrianti (una tale bellezza suscita facilmente nausea), ma che si insinua lentamente, che quasi inavvertitamente ci porta via con sé e che un giorno ci si ritrova davanti in sogno”.

La gioia nasce quando, nella pura immanenza dei corpi, potenziamo la nostra energia, il nostro sforzo a essere, intercettando e accogliendo negli incontri ciò che ci procura bellezza, desiderio a permanere con entusiasmo e gratitudine nella vita. In questo senso, la gioia è sempre sovrabbondanza di potenza, di vita. È splendore, come recita Mariangela Gualtieri: “C’è splendore in ogni cosa. Io l’ho visto. / Io ora lo vedo di più. / C’è splendore. Non avere paura.

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