Mediterraneo, in fondo al mare un patrimonio da salvaguardare - QdS

Mediterraneo, in fondo al mare un patrimonio da salvaguardare

redazione

Mediterraneo, in fondo al mare un patrimonio da salvaguardare

giovedì 26 Agosto 2021

La “vita” che popola i fondali marini sempre più in pericolo a causa di inquinamento, pesca selvaggia e aumento temperature. Tiralongo, ricercatore Unict: "Specie di pregio scomparse in alcune aree"

di Antonio Leo e Elettra Vitale

PALERMO – C’era una volta in Sicilia un fondale marino ricco di biodiversità, con una flora rigogliosa e una fauna abbondante anche negli specchi d’acqua antistanti grandi città come Catania e Siracusa. Oggi, rispetto a cinquant’anni fa, fare un tuffo nel mare siciliano – eccezion fatta per le aree marine protette e per alcune zone miracolosamente ancora salve da inquinamento e pesca selvaggia – significa trovarsi spesso di fronte a uno scenario di inquietante desolazione.

Alcune specie marine tipiche dell’ecosistema che “nuota” attorno all’Isola rischiano addirittura di sparire. “Sono numerose le popolazioni ittiche – spiega al QdS l’ittiologo Francesco Tiralongo, ricercatore dell’Unict – che negli ultimi decenni hanno subito un drastico calo numerico, pensiamo ad esempio agli squali o a diversi pesci cartilaginei o, ancora, a specie di pregio come la cernia bruna e i ricci, che sono del tutto scomparsi in alcune aree. È vero che, fortunatamente, non assistiamo ad una vera e propria estinzione di una specie nella sua totalità ma sicuramente pratiche dell’uomo, come la pesca intensiva e irrazionale, danneggiano non solo la fauna ma anche la flora. È il caso della pesca praticata con la tecnica ‘a strascisco’ che causa un danno meccanico ai fondali e all’habitat, distruggendone intere porzioni”.

Una vera e propria emergenza di livello internazionale per un’area, quella del Mediterraneo, che è considerata, come riporta Legambiente nel suo ultimo report in materia, “un hotspot della biodiversità marina del nostro Pianeta”, in quanto “ospita tra il 4 e il 18% di tutte le specie marine viventi, molte delle quali endemiche”.

Specie che oggi devono fare i conti con diverse minacce: cambiamenti climatici, sovrasfruttamento delle risorse, introduzione di specie aliene invasive e inquinamento. “I mammiferi e i rettili marini sono particolarmente soggetti alle catture accidentali da parte di attrezzi da pesca, all’inquinamento marino e al disturbo antropico causato dalle attività militari, dalla costruzione ed utilizzo di infrastrutture industriali e turistiche, dai trasporti marittimi – si legge nel rapporto di Ispra sulla Biodiversità in Italia appena pubblicato – . Gli impatti sugli invertebrati derivano principalmente dal prelievo e dalla raccolta illegale, dalla costruzione ed utilizzo di infrastrutture e dai cambiamenti climatici. Infine, le maggiori fonti di disturbo per le specie algali sono ‘’inquinamento marino, la costruzione di infrastrutture e i cambiamenti climatici”.

Quello dell’Ispra è un vero e proprio allarme per le specie e gli habitat del nostro Paese: sono in stato di conservazione sfavorevole il 54% della flora e il 53% della fauna terrestre, il 22% delle specie marine e l’89% degli habitat terrestri. Se è vero che il 63% degli habitat marini appaiono in status favorevole (ma si tratta di una media nazionale, va detto), mancano ancora tantissimi dati, tanto che è sconosciuto lo status del 37% dei casi.

I FONDALI MARINI DELL’ISOLA SOTTO ATTACCO

Mancata depurazione, sversamenti illeciti e rifiuti. Sono diverse le “pressioni” che subisce il mare siciliano e la popolazione marina che lo abita. Secondo il rapporto “Mare monstrum” di Legambiente nel 2020 il nostro ecosistema marino ha visto compiere ai suoi danni oltre 3.200 reati, quasi 600 in più rispetto all’anno precedente. Il reato più commesso è quello dell’abusivismo costiero che ha un diretto impatto anche sulla flora e la fauna: infatti il più delle volte uno scarico non a norma finisce proprio in mare. Ancora nel 2020 si contano più di 1.600 infrazioni.

Ma certamente un peso enorme nell’inquinamento del mare isolano lo ha soprattutto la mancata depurazione delle acque reflue, ormai proverbiale (e costosa) criticità della regione. Secondo l’ultimo aggiornamento del Mite (Ministero della transizione ecologica, ndr), le procedure d’infrazione dell’Ue coprono il 77% degli agglomerati siciliani. Inoltre, secondo quanto riportato da Arpa Sicilia nell’ultimo monitoraggio disponibile (2019), nell’Isola ci sono 457 impianti di depurazione, di cui circa il 16% circa non attivi e in generale meno del 20% in regola con le autorizzazioni allo scarico. Una situazione che, oltre ad avere conseguenze economiche a causa delle salatissime multe europee (l’Isola paga oltre 30 milioni di euro l’anno), ha conseguenze disastrose sull’ecosistema marino, con depuratori che spesso funzionano al contrario, cioè “inquinano”.

Pesano anche i rifiuti, soprattutto quelli di plastica che sovente vengono ritrovati nelle pance di tartarughe e cetacei vittime dell’incuria. Basti pensare a uno studio dell’Università di Barcellona pubblicato sulla rivista scientifica Environmental che ha censito nei fondali dello Stretto di Messina la densità di rifiuti più alta del Pianeta, con variazioni che vanno da 121.000 fino a 1,2 milioni di scarti per chilometro quadrato.

Non stupiscono, dunque, i numeri di Arpa Sicilia, contenuti nell’Annuario dei dati ambientali 2020. Nel consueto monitoraggio dell’ambiente marino siciliano ben 28 campioni d’acqua su 36 hanno presentato concentrazioni di sostanze inquinanti superiori agli standard qualitativi minimi (tra cui metalli come nickel, cadmio, mercurio e piombo). Inoltre, per quanto concerne il rilevamento di rifiuti marini spiaggiati, “in tutti i censimenti eseguiti i rifiuti appartenenti alla macrocategoria plastica e polistirene – si legge nel rapporto – sono quelli maggiormente rinvenuti e il valore massimo di 327 oggetti è stato registrato nella prima campagna a Milazzo”.

PESCA ILLEGALE E SOVRASFRUTTAMENTO

La Sicilia detiene il triste primato di prima regione d’Italia per numero di reati connessi alla pesca illegale: quasi un illecito su quattro è stato scoperto in Sicilia (secondo i dati delle Forze dell’ordine rielaborati da Legambiente). In generale, nel Mediterraneo, risulta sovrasfruttato il 75% degli stock ittici e questo ha un impatto elevato su diverse specie marine il cui consumo ai fini alimentari è sproporzionato rispetto alle effettiva capacità di riproduzione delle stesse. Basti pensare ai famosissimi ricci di mare (Paracentrotus lividus) spesso visibili anche a occhio nudo nelle zone marine scogliere e che sono diventati parte integrante della nostra tradizione culinaria i quali, come denunciato dal Wwf nell’ambito della campagna #GenerAzioneMare, necessitano di essere tutelati dalle pratiche di pesca selvaggia in quanto “rivestono un importante ruolo ecologico nell’ambiente marino: una diminuzione della popolazione di questi echinodermi può portare a una proliferazione algale, così come una loro sovrappopolazione può portare a fondali poveri di vegetazione (barren sites), con conseguente scomparsa di biodiversità”.

CAMBIAMENTI CLIMATICI E INVASIONE DEGLI ALIENI

In ultima analisi, i cambiamenti climatici e il connesso innalzamento delle temperature delle acque marine, che ha raggiunto un exploit di ben tre gradi superiori rispetto alla media, comportano un ulteriore pericolo: l’invasione biologica di specie vegetali e animali definite comunemente “aliene” in quanto provenienti da altri mari che minacciano seriamente la sopravvivenza delle nostre specie indigene e possono arrecare non poche modificazioni all’equilibrio del biota marino siciliano. Ad oggi circa 1.000 specie di pesci invasivi sono migrate nel Mediterraneo, ovvero una ogni due settimane negli ultimi dieci anni.

A preoccupare gli esperti vi è soprattutto la mancanza di una strategia efficace, sia a livello nazionale che regionale, per arginare questo “assalto straniero”. Come sottolineato dall’Ispra appare ancora limitato “il ricorso agli interventi gestionali per contrastare gli impatti delle specie esotiche di rilevanza unionale, previsti dal Regolamento Ue 1143/14”. Nel periodo compreso tra il 2016 e il 2018, in realtà, sono state attuate misure di gestione in quattordici regioni. Tutte del Centro-Nord.

gianfranco zanna
Gianfranco Zanna

Il presidente di Legambiente Sicilia, Gianfranco Zanna

PALERMO – Una terra che sconta anni di incurie e di mala gestione dei rifiuti che, proprio come alieni, invadono acque e coste. A raccontarci di un mare che subisce le conseguenze delle nostre “malefatte” è Gianfranco Zanna, presidente di Legambiente Sicilia.

È corretto dire, come evidenziato dall’Arpa Sicilia, che il nostro ecosistema marino versa in condizioni di ‘buona salute’?
“Va innanzitutto specificato che sicuramente l’Arpa si avvale di strumenti tecnici che consentono di fare valutazioni dettagliate, di cui invece noi non disponiamo. È anche vero però che, per capire come sta oggi il nostro mare, dobbiamo prendere come fatto assodato il comportamento che ad esso riserviamo. Basta partire da un semplice dato: l’80% dei siciliani non è servito da un sistema di depurazione correttamente funzionante e ciò significa che, di conseguenza, in 8 casi su 10 i rifiuti reflui prodotti dai cittadini confluiscono nelle acque marine in maniera diretta o, in alternativa, attraverso sistemi di depurazione non efficienti o non funzionanti. Si tratta di dati accertati e verificati che causano anche danni economici alla nostra terra in quanto contribuiamo a pagare le sanzioni imposte dall’Ue all’Italia (e si sta valutando la possibilità di emetterne una terza) con costi inseriti proprio nella Tari. Ponendo l’accento sulla questione ambientale, è certamente opinabile il fatto che il nostro mare riesca poi effettivamente a digerire quanto in esso viene sversato. In particolare, sappiamo che i prelievi che effettuiamo ogni anno con Goletta Verde, sebbene non possano essere minimamente paragonabili a quelli svolti dall’Arpa o dall’Asl che sono reiterati nel tempo, vengono realizzati direttamente alla foce del fiume e non a distanza di 50 metri dalla stessa, come fatto dai due enti. Ne conseguono risultati completamente differenti in quanto i rifiuti, una volta immessi in mare, si disperdono e, dunque, verrà fuori una percentuale di inquinanti sicuramente inferiore”.

Quali le conseguenze dirette per vegetali e animali?
“Non abbiamo ad oggi realizzato dei prelievi diretti sugli animali ma non è difficile comprendere che, scarti fecali e sostanze tossiche introdotti in un ecosistema non possono avere conseguenze benefiche e ci troviamo a pagare un conto salato per la nostra condotta. È il caso della pesca intensiva e irrazionale e delle azioni di fruitori occasionali delle nostre coste che, a fronte di una mancanza di regole e controlli ferrei, stanno aggredendo animali e vegetali ma anche i nostri fondali. Fa riflettere il fatto che, invece, laddove sono state istituite delle aree marine protette, la natura ha risposto positivamente e si è verificato un vero e proprio incremento del pescato locale in quanto gli animali riescono a rinascere e a proliferare al meglio nella zona ‘sorvegliata speciale’ e, di conseguenza, si spostano nelle aree di prossimità in cui la pesca è consentita. Come Legambiente ci battiamo da sempre per ottenere l’istituzione di numerose altre marine protette come Vendicari, Pizzo Cofano, Scala dei Turchi, ecc. al fine di rispondere al meglio alla chiamata che l’Ue ha fatto ad ogni paese membro, Italia compresa, chiedendo di raggiungere, entro il 2030, il 30% di territorio marino tutelato anche in Sicilia, obiettivo dal quale siamo ancora distanti per un buon 10%”.

Benedetto Sirchia, dirigente responsabile Uos Ambiente marino costiero di Arpa Sicilia

PALERMO – Sebbene il contesto fin qui descritto non faccia sperare in previsioni rosee per il futuro dei nostri mari, l’ecosistema marino sembra adattarsi e rispondere positivamente ai costanti attacchi dell’ambiente esterno. Ne abbiamo parlato con Benedetto Sirchia, dirigente responsabile della Uos Ambiente Marino Costiero nel settore Protezione Ambientale – Area Mare di Arpa Sicilia.

In che condizioni di salute è, attualmente, il nostro ecosistema marino? Potremmo dire che è ‘in forma’?
“Possiamo dire che nei mari siciliani l’ecosistema marino è sostanzialmente in buono stato in quanto, fortunatamente, nella nostra Isola dei grossi bioindicatori quali, ad esempio, le praterie di Posidonia oceanica colonizzano buona parte delle nostre coste, soprattutto nella zona del trapanese e della Sicilia sud orientale. Va inoltre aggiunto che vi sono delle realtà più profonde come l’habitat coralligeno che godono di buona salute. È vero anche che vi sono alcuni tratti di costa che risentono delle pressioni dovute all’azione umane, quale mancanza di impianti di depurazione e concentrazione di rifiuti spiaggiati e microplastiche, la cui presenza è emersa dalle nostre rilevazioni. In particolare, l’assenza di un adeguato ed efficiente sistema di depurazione ha un risvolto immediato sul benessere delle nostre acque sia per quanto concerne la balneabilità delle stesse che dal punto di vista ambientale poiché un surplus di sostanza organica immessa nell’acqua, specie in prossimità delle coste, viene difficilmente smaltita dall’ecosistema e determina fenomeni quali fioritura algale e un incremento degli inquinanti e dei solidi sospesi, le cui conseguenze dirette coinvolgono soprattutto le specie più sensibili. Inoltre, anche l’aumento delle temperature delle acque, legate al cambiamento climatico, concorre su vasta scala al degrado dell’ habitat coralligeno, di cui fanno parte specie strutturanti come le ‘gorgonie’, coralli costituiti da colonie di tipo arborescente vivacemente colorate ”.

Gli “inquilini” del mare come stanno rispondendo a queste aggressioni? Come ci spieghiamo la rarefazione di alcune specie in precedenza visibili a occhio nudo?
“Abbiamo rilevato che, dal punto di vista ecologico, gli ecosistemi rispondono abbastanza bene a queste minacce esterne, tranne che in alcuni brevi tratti di costa, specie in prossimità di zone industriali che, comunque, tenuto conto della vastità complessiva delle coste siciliani non sono particolarmente ampie, sebbene è necessario che vengano messi in atto sistemi di correzione. Va comunque specificato che una perturbazione, quale scarichi in mare di reflui non depurati in quantità elevata può seriamente danneggiare le specie vegetali e animali più sensibili agli agenti inquinanti ma anche la cosiddetta pesca ‘a strascico’ che imprime un danno fisico ai fondali e determina la rimozione dello strato più superficiale dei fondo molli dove vivono animali che rivestono un ruolo fondamentale nel complesso dell’ecosistema marino, specie nei fondali sabbiosi”.

E i microinquinanti?
“Il nostro ambiente marino, nella sua componente biotica, fortunatamente riesce a rispondere in maniera complessivamente positiva agli inquinanti in esso immessi. E’ anche vero che dall’analisi di alcuni campioni di acqua di mare, che vengono prelevati mensilmente nella stesse area per il monitoraggio dei corpi idrici marino costieri della Sicilia, sono stati talvolta registrati per alcuni parametri dei valori che hanno superato il limite massimo consentito dalla normativa vigente, ma la situazione viene tenuta sotto controllo attraverso l’attività di monitoraggio che in queste aree viene effettuata fino a quando non vengono registrati tutti i valori conformi alla normativa. Bisogna precisare, però, che generalmente nei casi in cui è stato rilevato per un determinato inquinate il superamento del valore del limite massimo consentito , non sempre è stato registrato lo stesso superamento del limite nei sedimenti e questo ci fa ben sperare. Questo perché i sedimenti costituiscono una matrice conservativa che nel tempo accumula tutte le sostanze chimiche che dalla massa d’acqua vanno a depositarsi sul fondo e pertanto si è constatato che grazie all’intenso idrodinamismo costiero tali inquinanti non permangono in profondità. Se dovessimo, dunque, fare un bilancio complessivo è sicuramente più positivo che negativo e il nostro ecosistema, soprattutto laddove le pressioni esterne sono minori, riesce a mantenere la sua condizione naturale originale. In altre zone, invece, dove le minacce sono più consistenti, esso viene degradato e assistiamo alla comparsa di specie non autoctone che colonizzano i fondali. Le specie aliene sono infatti sempre più presenti nei nostri mari, vanno costantemente monitorate e, infatti, sono attualmente oggetto dei nostri studi in quanto è essenziale comprendere se, in virtù di una loro maggiore resistenza ai fattori esterni, possano realmente minacciare le nostre specie autoctone. Va infine detto, però, che in Sicilia possediamo un immenso patrimonio naturale che va difeso innanzitutto con un maggiore controllo del sistema di depurazione che, se opportunamente gestito nel pieno rispetto della biodiversità esistente, ci permetterebbe di tutelare il vasto patrimonio vegetali e animale, in certi casi unico al mondo, presente nei nostri mari, come ben dimostrato dalle vaste aree marine protette di cui disponiamo.

Francesco Tiralongo, ricercatore dell’Unict esperto di fauna ittica e specie aliene

Il QdS ha intervistato in esclusiva l’ittiologo Francesco Tiralongo, assegnista di ricerca in ambito di fauna ittica costiera e esperto in specie aliene, attualmente attivo nel team del laboratorio di Biologia della Fauna marina mediterranea del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Catania, per scattare una fotografia delle condizioni e delle problematiche che scorrono nel nostro blu siciliano.

Dottor Tiralongo, come potremmo definire lo stato attuale dell’ecosistema marino che vive nelle acque siciliane?
“Lo stato di salute attuale del nostro ecosistema marino è sicuramente in progressivo peggioramento, soprattutto se messo a confronto con quello di una decina di anni fa, e a tale andamento negativo concorrono diversi fattori che stanno minacciando la nostra biodiversità. Tra queste, soprattutto negli ultimi anni, troviamo la piaga delle invasioni biologiche da parte di specie aliene, ovvero provenienti da altri mari con vari mezzi. In particolare ci riferiamo al fenomeno della migrazione lessepsiana, ovvero l’ingresso e la stabilizzazione di specie animali e vegetali dal Mar Rosso nelle acque del Mar Mediterraneo attraverso il Canale di Suez”.

Come si spiega questo fenomeno?
“Va sicuramente considerato che, mentre in passato esistevano alcune barriere e differenze chimico fisiche più marcate tra il Mediterraneo e il Mar Rosso, di recente, colpevole anche il riscaldamento globale e i cambiamenti climatici, siamo di fronte a due particolari episodi molto invasivi che interessano le nostre acque. Il primo viene definito tropicalizzazione, ovvero i nostri mari si stanno trasformando in acque tropicali, favorendo l’ingresso di specie aliene che, trovando le condizioni ideali per la propria sopravvivenza, non solo riescono a competere con le nostre specie autoctone ma anche a prevalere su di esse. In Italia possiamo dire che attualmente, anche se le previsioni per il futuro non sono di certo rosee, per quanto riguarda le specie ittiche non assistiamo a una vera e propria invasione biologica di ingerenza decisiva ma, allo stesso tempo, diversi avvistamenti ci confermano che si è affermato un trend di colonizzazione che va da Oriente verso Occidente. Poi vi è un secondo fenomeno, ovvero quello della meridionalizzazione: le specie mediterranee generalmente presenti nelle acque africane e nei bacini orientali del Mediterraneo, favoriti dal riscaldamento delle acque, si stanno spostando gradualmente verso il Nord Italia. Un esempio concreto è rappresentato dallo scaro, comunemente chiamato ‘pesce pappagallo’, per sua natura diffuso in Sicilia e Calabria, si sta diffondendo nella parte settentrionale del nostro Paese, colonizzando aree in cui prima erano del tutto assenti”.

Quali sono gli effetti immediati e concreti per animali ma anche esseri umani?
“Possiamo dire che tale espansione può avere diversi impatti negativi. Da un lato perché gli esemplari alieni si inseriscono in nicchie biologiche e causano degli squilibri, considerato anche che non hanno dei predatori naturali che possano contrastarli, con la conseguenza di una diffusione smisurata e incontrollata, nonché deturpando le risorse delle specie autoctone nella zona di arrivo. In alcuni casi possono essere pericolosi anche per gli uomini, come il caso eclatante nel Mediterraneo è il pesce palla maculato del Mar Rosso che ha causato anche dei decessi nel settore orientale, in quanto le sue carni sono tossiche poiché contengono tetradotossina, letale per gli esseri umani. Va anche detto, però, che vi sono alcuni esemplari come il granchio reale blu di provenienza atlantica che in Sicilia ha trovato sbocco a livello commerciale e che, sebbene molto aggressivo con la nostra fauna marina, ha delle carni gustose ed è quindi un modo per tenerne sotto controllo la popolazione”.

In che modo il riscaldamento delle acque marine che, stando agli ultimi rilevamenti è ormai superiore di ben tre gradi rispetto alla media, influisce a livello biotico?
“Tale fenomeno causa diversi disequilibri in quanto numerosi animali che sono abituati a vivere in un determinato range termico entrano in sofferenza quando la temperatura si alza anche solo di un grado, con il rischio di morire e, dunque di estinguersi. Un’altra conseguenza, come accennato in precedenza, è sicuramente la diffusione di specie non indigene che minacciano le nostre specie autoctone, con tutte le conseguenze che ne possono derivare. È difficile fare delle previsioni accurate a lungo termine, esistono dei modelli ma non possono essere considerati totalmente precisi”.

Che azioni è necessario mettere in campo per preservare il nostro ecosistema marino?
“Innanzitutto un ruolo cruciale per la tutela dei nostri habitat può essere assunto dal controllo efficiente delle pratiche di pesca, sia di natura professionale che amatoriale, che attualmente si rivela molto difficile in quanto nelle nostre aree ci sono tantissimi pescatori ma gli organi atti al controllo sono in proporzione di gran lunga inferiore. Un’altra azione essenziale è la gestione puntale dei fermi biologici che andrebbero rispettati pedissequamente. Tutte queste azioni possono certamente contribuire a far respirare il nostro mare che, se gli diamo tempo, ha già in sé tutte le potenzialità per riprendersi e rigenerarsi da solo sebbene il nostro contributo sia fondamentale”.

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