Lgbt, Massimo e Gino, finalmente sposi dopo quarant'anni - QdS

Lgbt, Massimo e Gino, finalmente sposi dopo quarant’anni

redazione web

Lgbt, Massimo e Gino, finalmente sposi dopo quarant’anni

sabato 31 Ottobre 2020

A Giarre, nel Catanese, nel quarantennale dell'uccisione di due giovani omosessuali, l'Unione civile di due coppie simbolo del movimento a Palermo e in tutta la Sicilia. A celebrare il rito, nel Salone degli specchi del Municipio, il sindaco D'Anna e le parole di Papa Francesco

Dopo oltre quarant’anni d’amore e di lotta nel movimento Lgbt e dopo un primo matrimonio simbolico avvenuto a Palermo nel 1993, Massimo Milani e Gino Campanella, 63 e 73 anni, hanno ufficializzato solo questa mattina la loro unione civile nella sala degli specchi del Municipio di Giarre (Catania).

Un luogo e una data dal valore fortemente simbolico per i due sposi, che nel 1980 fondarono l’Arcigay a Palermo.

Il 31 ottobre di quarant’anni fa a Giarre furono infatti assassinati due giovani omosessuali, Giorgio e Tony, vittime del clima di omofobia di quegli anni.

E proprio a loro Massimo e Gino hanno voluto dedicare la cerimonia che è stata celebrata dal sindaco di Giarre Angelo D’Anna.

Coppia davanti alla legge

Massimo e Gino, come avevano raccontato al Qds.it il sette settembre scorso, avevano deciso di diventare coppia anche davanti alla legge perché, nonostante una convivenza di quarantadue anni, per lo Stato non sono parenti. E se ne sono accorti “quando Gino è rimasto tra la vita e la morte durante il primo lockdown”.

Il primo romano, il secondo vissuto a Torino dove la famiglia, palermitana, era emigrata. Entrambi stabilitisi a Palermo quarant’anni fa, dove avrebbero aperto vicino Ballarò un laboratorio artigiano di lavorazione di cuoio e pellami e fondato il 9 dicembre del 1980 il primo Arcigay italiano con Franco Lo Vecchio, Vincenzo Scimonelli, Salvatore Scardina e don Marco Bisceglia, sacerdote cattolico che ebbe l’idea di far nascere il movimento dopo l’emozione suscitata dal ritrovamento a Giarre, nel Catanese, il 31 ottobre di quell’anno, dei corpi di due giovani omosessuali che si tenevano per mano ed erano stati uccisi ciascuno con un colpo di pistola alla testa.

La terribile storia di Giorgio e Tony

Massimo e Gino ricordano che erano giunti in Sicilia “poco dopo quella terribile storia di Giorgio e Tony”.

Giorgio Agatino Giammona aveva venticinque anni e la fama di “puppu c’u bullu”, omosessuale certificato, dopo esser stato sorpreso, a sedici anni, in auto con un ragazzo.

Tony, Antonio Galatola, ne aveva appena quindici.

“I ziti”, i fidanzati, come li chiamavano in paese con una smorfia di disgusto, erano scomparsi da casa due settimane prima. Poi un pastore li trovò in campagna, lasciati a marcire sotto un pino.

Il mutismo di Giarre e dei familiari di fronte al clamore che la vicenda ebbe a livello nazionale – in Sicilia arrivarono giornalisti e numerosi esponenti nazionali del Fuori, l’associazione per i diritti omosessuali dei radicali, tra cui Francesco Rutelli – la diceva tutta sulle pressioni subite dai due giovani da parte della collettività.

“Fu trovato – ricorda Gino – un biglietto in cui rivelavano l’intenzione di suicidarsi. Di certo dovevano trovare insopportabili le prese in giro e le angherie del paese e della stessa famiglia. Ancora questo succede, nelle piccole comunità, ma a quei tempi era una pressione psicologica ancor più terribile. Era quasi impossibile esporsi pubblicamente”.

Confessione, ritrattazione, archiviazione

“Poi – continua Gino – venne fuori la confessione di un nipote di Tony, un ragazzino di tredici anni che disse di esser stato costretto a ucciderli da loro stessi, con minacce di morte. Poi però ritrattò, raccontando che erano stati gli investigatori a imporgli quella confessione”.

Si fecero tante ipotesi, compresa quella che il ragazzino – si chiamava Francesco Messina e per la legge non era punibile -, si fosse accollato il delitto commesso da un esponente maggiorenne della famiglia, e alla fine il caso fu archiviato.

“Uno dei grandi misteri italiani di quel 1980 – sottolinea Massimo -, dalla Strage di Bologna a Ustica. Ma di Giorgio e Tony, però, non ne parla più nessuno”.

Matrimonio a Giarre in onore degli “ziti”

“Noi – sottolinea Massimo – siamo arrivati a Palermo nel 1980. E a distanza di quarant’anni abbiamo deciso di chiudere il cerchio e celebrare il nostro matrimonio. Sì, matrimonio. Perché unione civile mi suona davvero male. Certo, è innegabile che questa legge dia dei diritti, ma è incompleta: per esempio, non riconosce i figli delle coppie omosessuali”.

Giarre si riconcili con Giorgio e Tony

“Crediamo – avevano spiegato entrambi, in settembre – che il nostro matrimonio possa essere l’occasione per Giarre di riconciliarsi con Giorgio e Tony, cancellando quanto accaduto in quel 31 ottobre scellerato di quarant’anni fa. Una riconciliazione che passi dalla consapevolezza di quanto siano inumane storie come questa”.

Il sindaco di Giarre, Angelo D’Anna, che, con tanto di fascia tricolore ha officiato la cerimonia, ha ricordato che questa è “la prima unione civile celebrata a Giarre tra persone dello stesso sesso, ma sarà soprattutto l’occasione per fare il punto sull’importantissimo e delicato tema legato alla conquista di diritti civili e all’evoluzione e al progresso della nostra società”.

Il Sindaco, Giorgio, Tony e Papa Francesco

“Noi – ha aggiunto – non potevamo perdere quest’occasione: Giarre è inconsapevole di aver avuto un ruolo fondamentale in una vicenda che ha segnato la storia del Costume, della Cultura, e della sensibilità sui Diritti civili non soltanto in Sicilia ma in Italia. Da quella vicenda nacque un movimento che portò alla nascita della più grande organizzazione Lgbt d’Europa, cioè Arcigay. Per riavere il ruolo che le spetta nella storia del Paese, Giarre deve dunque prima di tutto ricordare questi ragazzi e la loro tragica fine. Elaborare questo lutto guardandolo negli occhi per crescere dal punto di vista civico”.

“Da cattolico – ha sottolineato, facendo tornare alla mente le recenti parole di Papa Francesco – sono convinto che il rispetto dell’individuo, con le proprie peculiarità, sia fondamentale. Per questo dobbiamo ancora crescere tutti, nel rispetto reciproco”.

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