Cosa nostra e Stidda, dai Cancemi al Villaggio Santa Rosalia

Villaggio Santa Rosalia e non solo: le indagini svelano l’accordo tra Cosa Nostra e Stidda

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Villaggio Santa Rosalia e non solo: le indagini svelano l’accordo tra Cosa Nostra e Stidda

Roberto Greco  |
mercoledì 28 Giugno 2023

Mafia e imprenditoria, le mani della criminalità organizzata sull'economia locale: ecco alcuni dettagli emersi dopo l'operazione antimafia al Villaggio Santa Rosalia.

Le indagini dell’ultima operazione antimafia in Sicilia hanno permesso di accertare il pieno controllo economico esercitato dalla famiglia del Villaggio Santa Rosalia sulla distribuzione all’ingrosso di crisantemi nelle principali aree cimiteriali palermitane e in altri esercizi commerciali del capoluogo, ma anche di delineare profili di contiguità e cointeressenza tra quell’articolazione di Cosa nostra ed esponenti di vertice del clan della Stidda “Carbonaro-Dominante” alla base dei rapporti economici di natura illecita instauratisi sin da marzo 2017.

Per tali ragioni sono stati svolti successivi approfondimenti investigativi finalizzati a individuare eventuali rapporti diretti tra i titolari delle imprese fornitrici selezionate per l’avvio del business e gli esponenti mafiosi dell’area territoriale di Vittoria-Santa Croce Camerina, soprattutto per acquisire definitivo riscontro del coinvolgimento di un soggetto di spicco del citato clan stiddaro, Francesco Iemolo detto “Franco”.

Cosa nostra e Stidda, il ruolo di Giambattista Molè

Storico esponente del clan stiddaro “Carbonaro-Dominante”, Molè era stato, in passato, un piccolo imprenditore del settore florovivaistico. Le attività tecniche eseguite dimostravano l’esistenza di interessi e cointeressenze dirette dell’autorevole esponente mafioso Francesco Iemolo nelle attività economiche riconducibili ai Molè.

La più ampia estensione degli interessi economici del duo Iemolo-Molè era ben oltre i confini regionali, con diramazioni attuali del gruppo societario anche all’estero, gli investigatori ritengono in Olanda e Romania dove, nel periodo oggetto di intercettazione, si trovava pressoché stabilmente Titta Molè.

Gli esponenti della mafia siciliana operavano attraverso una holding olandese formalmente di proprietà di Giambattista Molè e attraverso la verosimile costituzione di società estere intestate fittiziamente a soggetti prestanome.

La coppia Iemolo-Molè

A questo si aggiunge l’attuale ruolo attivo di Francesco Iemolo e Giambattista Molè nella compagine mafiosa dell’area di Vittoria emerso in occasione di diversi episodi in cui gli stessi avevano posto in essere metodi intimidatori e impositivi nei confronti dei rispettivi referenti, anche per la soluzione di controversie legate alla gestione delle attività imprenditoriali, nonché rilevato dalle assidue frequentazioni di Francesco Iemolo con storici esponenti di spicco del clan della Stidda “Carbonaro-Dominante”.

Famiglia Cancemi e il dossier “Mafia e appalti” voluto da Falcone

Nell’ambito della ricostruzione delle dinamiche mafiose di gestione del tessuto economico del mandamento di Pagliarelli è stato documentato storicamente come i componenti della famiglia Cancemi fossero risultati inseriti nel settore del Movimento terra, nell’ambito del quale avevano, nel corso del tempo, anche formalmente ricoperto cariche in diverse società. Questo testimonia l’esistenza di consolidati accordi interni all’organizzazione mafiosa: pare che Giovanni Cancemi fosse l’interlocutore privilegiato del mandamento di Pagliarelli nella gestione degli interessi economico-mafiosi nel settore del movimento.

Il nome della famiglia Cancemi, va ricordato, era già emerso nel procedimento 2464/96, derivato dal “dossier mafia-appalti”, quell’indagine che Giovanni Falcone assegnò al ROS nel 1990. Lo stesso Salvatore Cancemi, collaboratore di giustizia, aveva dichiarato di aver favorito i suoi parenti per l’ottenimento di subappalti in occasione di più interrogatorio. Indagando gli interessi di Giovanni Cancemi nella gestione del settore del movimento terra è stato possibile documentare anche il ruolo attivo di Francesco Cancemi, già dagli anni Novanta lavoratore dipendente in diverse imprese formalmente intestate a membri della sua famiglia condannati successivamente per associazione di stampo mafioso.

L’imprenditore al servizio dei Cancemi e di Cosa nostra

Le indagini hanno rilevato anche il legame tra l’imprenditore Rosario Manno e Cosa nostra, in particolare il persistente coinvolgimento dei diversi membri della famiglia Cancemi nella gestione condivisa delle attività imprenditoriali riconducibili a Rosario Manno e al figlio Federico, nonostante Giovanni Cancemi si trovasse in carcere.

Un episodio risalente all’estate 2020 permette di confermare la vicinanza di Rosario Manno e del figlio al al mandamento di Pagliarelli e la capacità dell’uomo d’onore Giovanni Cancemi di continuare, dal carcere, a esprimere tutta la propria autorevolezza nella gestione di delicate dinamiche mafiose. Si tratta degli interventi di Cancemi nella controversia tra i Manno ed esponenti di rilievo del mandamento di Porta Nuova.

Le intercettazioni sono risultate fondamentali per la comprensione delle dinamiche della famiglia del Villaggio Santa Rosalia e degli interessi economici della mafia in quel territorio, dove operavano numerosi imprenditori palermitani vicini al Movimento terra e alla famiglia Cancemi (“in particolar modo all’imprenditore occulto Giovanni Cancemi”). Tra questi c’era Simone Fiorentino, accusato di concorso esterno in associazione mafiosa per aver favorito gli scopi illeciti dell’organizzazione criminale.

Sebbene risultasse formalmente un dipendente della società del padre, Nicolò Fiorentino, in molteplici casi Simone Fiorentino, in realtà avrebbe partecipato attivamente e talvolta in autonomia alla direzione e/o gestione delle attività imprenditoriali di famiglia, fungendo da elemento di raccordo tra l’impresa intestata al padre e il gruppo imprenditoriale controllato dai Cancemi.

Il ruolo strategico di Antonino Maniscalco

Le indagini hanno permesso di acquisire un solido quadro indiziario anche in relazione al ruolo attivo svolto da Antonino Maniscalco, detto “Anthony”, figlio di Paolo detto “Ciccio” e fratello di Francesco detto “Bellacio”, nel fornire un “contributo volontario, specifico, concreto e consapevole per la conservazione e il rafforzamento delle capacità operative dell’associazione mafiosa Cosa Nostra”, in particolare alla famiglia del Villaggio Santa Rosalia.

Antonino Maniscalco metteva a disposizione degli esponenti mafiosi le proprie attività imprenditoriali, esercitate in forma occulta attraverso prestanome e/o da lui direttamente, favorendo così il controllo economico del territorio da parte della famiglia Sorrentino del Villaggio Santa Rosalia.

La tabaccheria di Ballarò nelle mani della famiglia del Villaggio Santa Rosalia

Il legame tra la famiglia mafiosa di Villaggio Santa Rosalia e una tabaccheria di Ballarò è stato dimostrato dal ritrovamento di documenti appartenenti a soggetti collegati ai Maniscalco, dal fatto che il titolare dell’attività Antonio Massaro non avesse le chiavi di accesso e il complesso delle indagini.

Secondo gli inquirenti, pare che l’attività commerciale di piazza Ballarò fosse riconducibile al braccio economico della famiglia del Villaggio Santa Rosalia, rappresentato dal nucleo familiare dei Maniscalco. Proprio tale conclusione spiega perché i Sorrentino, Salvatore prima e il figlio Vincenzo poi, si fossero prodigati per realizzare anche certi progetti imprenditoriali.

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