Rialzo tassi interesse, allarme di banche e imprese: “Prudenza o sarà recessione” - QdS

Rialzo tassi interesse, allarme di banche e imprese: “Prudenza o sarà recessione”

redazione

Rialzo tassi interesse, allarme di banche e imprese: “Prudenza o sarà recessione”

Patrizia Penna e Vittorio Sangiorgi  |
mercoledì 17 Maggio 2023

Abi: “Sofferenze in aumento”. Unioncamere: “Se al Sud i consumi rallentano, l’economia soffre di più”

Una medicina amara da sorbire per curare un grave male, per superare le sue conseguenze nefaste. Ma siamo sicuri che la cura non abbia effetti collaterali addirittura peggiori? È questa la domanda che ci si pone analizzando le vicissitudini del sistema economico-finanziario europeo alla luce dell’ultima risoluzione della Bce, che ha inteso operare un nuovo aumento dei tassi di 25 base.

Un quarto di punto percentuale, che rende più “dolce” questo rialzo rispetto al precedente di 0,50, ma che incide in maniera importante su rifinanziamenti principali, depositi e prestiti marginali che salgono rispettivamente al 3,75%, 3,25% e 4%. Una scelta, probabilmente, inevitabile visto che l’inflazione continua a galoppare e che, come ha recentemente osservato l’economista Marco Onado al QdS, “medicina diversa dall’innalzamento dei tassi non si conosce”. Medicina che – seguendo ancora l’analisi di Onado – va dosata meglio. Ed è proprio questo il punto centrale della questione, perché la politica adottata dalla Bce rischia di pesare soprattutto sulle spalle di imprese e famiglie, categorie particolarmente esposte con i mutui e che rientrano – peraltro – tra quelle più colpite dall’impennata inflazionistica. L’ipotesi sempre più concreta è che, in tanti, potrebbero rinunciare a richiedere nuovi finanziamenti alle banche le quali rischierebbero una crisi di liquidità.

Per fare un quadro più chiaro della situazione basti pensare che si prevede un raddoppio delle rate per i nuovi mutui a tasso fisso ed un aumento del 50-60% dei rimborsi mensili per quelli a tasso variabile. Per un muto di 20 mila euro a tasso fisso, ad esempio, la rata mensile sarebbe di 1218 euro. Lecito chiedersi quali potrebbero essere gli effetti in Italia e soprattutto al Sud, dove il tessuto imprenditoriale è mediamente più debole e dove le famiglie sono in maggiore sofferenza economica.
È necessario, insomma, trovare una soluzione di compromesso affinché la cura non si riveli peggiore del male.

Carlo Bonomi
Carlo Bonomi, Presidente Confindutria

Nessuna paura del credit crunch: parola di Carlo Bonomi, presidente di Confindustria

Nessuna paura del crediti crunch, “io sono ottimista su questo, perché il sistema bancario italiano è forte e il sistema industriale sta dimostrando di avere una forza incredibile”.
Lo ha detto qualche giorno fa il presidente di Confindustria, Carlo Bonomi, nel corso dell’evento per i 50 anni di Confindustria Piemonte.

Il punto è capire se, a fronte di un sistema industriale che al Nord ha le spalle larghe, il Sud, che lamenta un tessuto produttivo di gran lunga più fragile, possa patire un impatto più forte. Bonomi questo lo sa bene: “Ci sarà qualcuno che potrebbe avere problemi – ha detto – il mio tema è più un tema di come sostenere gli investimenti, perché noi siamo condannati a fare investimenti, e dobbiamo avere in questo momento un sistema complessivo, incluso quello bancario, che sia capace di darci credito a condizioni di competitività”.

Fino a un certo punto l’aumento dei tassi di interesse è giustificabile – ha spiegato Bonomi – oltre il rischio di combattere l’inflazione potrebbe portarci alla recessione e sarebbe drammatico. L’Europa sta sbagliando a seguire solo i tedeschi che hanno un problema storico con l’inflazione, ma non possono farla pagare a tutti noi. Il mondo bancario l’ho sempre considerato un partner – ha sottolineato Bonomi – mi va bene che si segua la dinamica dei tassi quando mi finanzi, ma qualcuno si è dimenticato dei conti correnti attivi, perché anch’io vorrei avere le materie prime a costo zero, qualcosina dobbiamo rivederla…”.

Immersi in tale clima di incertezza, la “ricetta” di Bonomi non può che essere quella di stimolare gli investimenti: stimolare gli investimenti. “È ovvio – ha spiegato il numero uno di Confindustria – che l’imprenditore che ha di fronte uno scenario di instabilità tenda a rallentare gli investimenti, ma noi non possiamo permettercelo, specialmente in un momento in cui dobbiamo incrociare delle transizioni che sono ineludibili. Chiedo al Governo di avere il coraggio di fare degli interventi di stimolo agli investimenti, perché sono fondamentali. Se facciamo questo reggiamo”.

Intervista a Chiara Mancini, vice direttore generale Abi (Associazione Bancaria Italiana)

Il dibattito sul rialzo dei tassi è parecchio focalizzato sulla necessità di trovare una “cura” all’inflazione, a qualunque costo. Questa “cura” avrà un impatto su famiglie (mutui) e imprese (prestiti più onerosi). Saranno tempi duri anche per le banche? Perché?

“Le operazioni di stretta monetaria incidono sulle imprese, sulle famiglie e sulle banche: tutti questi attori operano, pur su diversi piani, in stretta interconnessione, nel contesto economico e finanziario. Ogni decisione ulteriormente restrittiva della Banca Centrale Europea, pur orientata a contrastare un fenomeno dannoso quale è l’inflazione, rischia di favorire nuove spinte per la recessione, laddove appare invece indispensabile, nell’attuale incerto scenario, consolidare a ogni livello gli sforzi comuni per la ripresa dello sviluppo e dell’occupazione, calibrando i prossimi interventi non sulla base delle attese di inflazione, che rischiano di essere auto-alimentanti, ma tenendo maggiormente conto del contesto effettivo e di come esso potrà evolversi a breve”.

Quale l’impatto degli interventi sul sistema bancario?

“Chiaramente, gli interventi di politica monetaria hanno sulle banche un diretto e diversificato impatto: quando i tassi salgono, aumenta anche il costo della raccolta; i titoli in portafoglio si deprezzano; aumentano le svalutazioni dei crediti. Inoltre, occorre considerare la necessità di rafforzare i coefficienti patrimoniali, su cui impattano le maggiori svalutazioni e accantonamenti e anche le maggiori richieste che derivano dalle nuove regole di prossima introduzione come nel caso di Basilea III Plus. Il picco di inflazione che si è innescato nel 2022 è stato principalmente cagionato dagli elevati costi energetici, conseguenza diretta del conflitto russo-ucraino. Da mesi, tuttavia, si registra una stabile discesa dei prezzi dell’energia e in particolare del gas, che è stato il fattore decisivo dell’inflazione: in tal senso, sarebbe auspicabile maggior prudenza in vista delle prossime decisioni sui tassi da parte della Banca Centrale Europea. Inoltre, l’Italia è caratterizzata da peculiarità, a cominciare dall’elevatissimo debito pubblico, cruciale fardello che mina la nostra competitività e che richiederebbe l’avvio di una coerente e programmata strategia di progressiva riduzione”.

A fine marzo, in occasione del “Rome Investment Forum”, il Presidente dell’ABI, Antonio Patuelli, aveva annunciato che a febbraio si erano registrate un miliardo di sofferenze bancarie aggiuntive: lo scenario che si sta delineando è in peggioramento?

“Partiamo dai numeri. Lo scorso marzo le sofferenze nette sui prestiti delle banche in Italia (cioè corrette da svalutazioni e accantonamenti già effettuati dagli istituti con risorse proprie) sono aumentate di circa 1 miliardo di euro rispetto allo stesso mese di un anno prima, a quota 15,2 miliardi di euro. Uno scenario coerente con le nostre previsioni, che indicano anche nell’anno corrente una ripresa, seppur leggera, della rischiosità del credito, del tutto fisiologica in una fase di rallentamento dell’economia e peraltro già avviata nel 2022. Al contempo, gli attuali contenuti livelli dei crediti deteriorati e della componente più rischiosa degli NPL, le sofferenze nette, rendono il fenomeno in prospettiva gestibile, per le banche. Chiaramente è fondamentale che le azioni messe in campo dalle Autorità di vigilanza, dalle Istituzioni e dal mondo delle imprese siano orientate a contrastare il rallentamento ciclico dell’economia, così da evitare una nuova recessione, le cui conseguenze, in termini di crisi aziendali, si riverbererebbe inevitabilmente anche sulle banche, visto che nuovi ingenti flussi di crediti deteriorati, effetto di prestiti non rimborsati, intaccherebbero la qualità degli attivi bancari”.

Andrea Prete (Unioncamere): “Da Banche centrali scelta obbligata, il sistema saprà assorbire l’urto”

Andrea Prete è il Presidente di Unioncamere. Il Quotidiano di Sicilia lo ha intervistato per cercare di delinare insieme a lui i possibili scenari che si aprono per le imprese italiane “sotto pressione” a causa della politica di rialzo dei tassi di interesse messa in atto dalla Bce.

Rialzo tassi necessario per “curare” l’inflazione: questo ci dicono Fed e Bce. Ma quali scenari si aprono per le imprese? Quello di una liquidità sempre più onerosa e difficile da raggiungere sarà un rischio “gestibile” o il macigno che cadrà sull’economia italiana sarà troppo pesante?
“Partiamo da un assunto fondamentale: un’inflazione così alta come quella registrata in questi mesi non è sostenibile. Quindi la scelta delle Banche centrali era una scelta obbligata anche se bisogna stare attenti a non esagerare. è evidente che essa comporterà un innalzamento del costo del denaro anche per le imprese, è inevitabile. Ma i presupposti di fondo della nostra economia sono solidi e il sistema produttivo saprà riassorbire l’urto. D’altro canto pochi giorni fa Istat ha certificato una crescita del Pil italiano superiore a quella dell’area euro, alla quale hanno contribuito sia la domanda interna che quella estera netta. Sempre Istat mostra che nel 2023 si dovrebbe arrivare a un pieno recupero del turismo rispetto al 2019, se non addirittura a un superamento delle presenze registrate prima della pandemia. L’occupazione segna oggi il 60,9%: siamo ancora sotto la media della Ue ma ben 1,8 punti percentuali in più del 2019. Le esportazioni registrano una crescita fortissima: negli ultimi 10 anni le vendite all’estero dell’Italia sono aumentate complessivamente del 60% arrivando a superare i 600miliardi di euro a fine 2022. Sono risultati eccezionali, conseguiti peraltro in uno dei periodi più difficili della storia non solo del nostro Paese ma di tutto il mondo.

Il Sud che si caratterizza per un tessuto produttivo più fragile e meno strutturato saprà reagire?
“Il nostro Mezzogiorno ha ancora tanto da recuperare. I divari esistono e sono importanti ma le eccellenze non mancano e su queste occorre puntare per un nuovo rilancio. Vorrei aggiungere due questioni. In primo luogo, l’economia meridionale è meno internazionalizzata e più legata, quindi, ai consumi interni. E se i consumi rallentano (e una inflazione elevata ha questo effetto), anche le imprese ne soffrono. Il secondo aspetto è che al Mezzogiorno il PNRR destina il 40% delle risorse disponibili proprio per superare i gap di sviluppo con il resto del Paese. Le imprese del Sud, quindi, devono cogliere queste opportunità straordinarie. è un treno che non ripasserà e che davvero non si può perdere”.

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