Operazione Landayà e migranti, nuovi arresti - NOMI e VIDEO

VIDEO e NOMI | “Business” sulla pelle dei migranti, prosegue l’operazione Landayà

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VIDEO e NOMI | “Business” sulla pelle dei migranti, prosegue l’operazione Landayà

Redazione  |
mercoledì 27 Settembre 2023

Ecco chi sono i nuovi arrestati nell'ambito della maxi operazione contro il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e il traffico di esseri umani nel Mediterraneo.

Proseguono le operazioni Landayà e Landayà bis contro il traffico di esseri umani, in particolare di migranti che attraversano il Mediterraneo: la Procura Distrettuale della Repubblica di Catania ha delegato la Polizia di Stato per l’arresto e il trasferimento in carcere di alcuni cittadini guineani e ivoriani con l’accusa di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravata dall’aver agito in più di dieci persone e in concorso tra loro, nonché di avere commesso il fatto al fine di trarne profitto anche indiretto e dalla transnazionalità.

Operazione Landayà, i nomi degli arrestati

Lo scorso 22 settembre, la Squadra Mobile di Catania, con la collaborazione dell’omologo ufficio di Genova, ha eseguito il provvedimento restrittivo di custodia cautelare in carcere nei confronti di:

  • Fode Berthe, ivoriano, classe ’94, già sottoposto all’obbligo di dimora, arrestato a Genova e condotto nel carcere Marassi a Genova;
  • Ibrahim Keita, ivoriano, classe ’97, già sottoposto all’obbligo di presentazione alla Polizia Giudiziaria, arrestato a Genova e condotto al carcere Marassi.

Lo stesso provvedimento nell’ambito dell’operazione Landayà è stato notificato anche a dei soggetti già in carcere, in particolare:

  • Ousman Keita, guineano, classe ’92, rinchiuso nel carcere di Busto Arsizio (VA);
  • Alfousseni Sanogo, ivoriano, classe ’99, rinchiuso nel carcere Marassi;
  • Mamadi Diallo, ivoriano, classe ’99, anche lui detenuto nel carcere Marassi.

Dei 25 stranieri destinatari della precedente ordinanza di custodia cautelare eseguita il 3 agosto 2023 (operazione convenzionalmente denominata “Landayà bis”, di cui allo stato 18 detenuti), sono attivamente ricercati altri 7 cittadini stranieri, che dovrebbero trovarsi all’estero, le cui informazioni sono state condivise a livello europeo.

Le indagini

Il provvedimento è il frutto della strutturata attività d’indagine, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Catania ed eseguita, anche con l’ausilio di presidi tecnici, dalla II Sezione Investigativa “Criminalità Straniera e Prostituzione” della Squadra Mobile. I destinatari sono risultati gravemente indiziati delle ipotesi delittuose di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravata dall’aver agito in più di dieci persone e dei reati-fine di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravati dall’avere agito in più di tre persone in concorso tra loro, di avere commesso il fatto al fine di trarne profitto anche indiretto e dalla transnazionalità.

Le indagini dell’operazione Landayà e Landayà bis erano sfociate nell’emissione del decreto di fermo, eseguito in diverse parti d’Italia.

Con sentenza del 20 settembre 2023, la Corte di Cassazione ha dichiarato “inammissibile il conflitto per essere stata la competenza territoriale già regolata con sentenza del 13.7.2023 dalla Corte di Cassazione a favore del giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Catania”.

La testimonianza chiave

Le indagini dell’operazione Landayà sono partite dalla testimonianza di una minore straniera non accompagnata giunta lo scorso 25 gennaio al porto di Augusta, collocata in una struttura sita nel Catanese ma fermamente intenzionata a raggiungere la Francia seguendo le indicazioni avute in Libia da una donna che l’aveva avvicinata in Libia. La signora le aveva fornito il contatto di uno degli indagati, Abdoulaye Eder Kadouno.

Giunta in Italia, la minore si sarebbe allontana dalla struttura ospitante per seguire le indicazioni ottenute in Libia per raggiungere la Francia. L’impegno investigativo dedicato alla vicenda di questa minore, caratterizzato da attività di tipo tradizionale e tecnico, ha permesso di scoprire un articolato sodalizio criminale di matrice straniera, a carattere transnazionale dedito al traffico di esseri umani.

Operazione Landayà, gli orrori scoperti con le indagini

L’organizzazione criminale aveva più cellule operative in Africa (Libia, Guinea, Costa d’Avorio, Tunisia e Marocco), in Italia (a Genova, Torino, Asti, Cuneo e Ventimiglia) e in Francia, dedito al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in favore di una clientela (donne, uomini, bambini e addirittura neonati) che, dietro pagamento di somme di denaro, variabili a seconda della natura degli accordi e della tranche di viaggio da eseguire (tra i 200 e i 1.200 euro circa), cercava di raggiungere la Francia.

Le indagini sull’operazione Landayà hanno permesso di raccogliere elementi su come i fermati, per lo più francofoni, della Guinea e Costa d’Avorio, sarebbero in grado di garantire al migrante la realizzazione del progetto migratorio nella sua interezza, dal Paese di origine a quello di destinazione attraverso Paesi di mero transito (tra i quali l’Italia), con la pattuizione del pagamento di un prezzo per ogni tappa del viaggio. Il gruppo offriva un “servizio completo”, con tutto il necessario per lo “sconfinamento”, perfino Green Pass e documenti falsi.

La struttura

Il sodalizio al centro delle operazioni Landayà e Landayà bis aveva una struttura fluida ma articolata, composta fondamentalmente da tre cellule:

  • una con sede a Torino (in cui avrebbero operato il leader Yacouba Kone e gli affiliati Yaya Konate, Djiguiba Bayoko e un terzo soggetto ancora irreperibile) e Asti (dove avrebbe agito il cittadino guineano Abdoulaye Eder Kadouno);
  • una con sede in Liguria (ove avrebbero operato Sidiki Doumbouya, leader del citato gruppo e un altro componente del gruppo), ma con un associato dimorante ad Asti (che sarebbe Amadou Diakite);
  • una terza con sede a Ventimiglia e a sua volta suddivisa in due sottogruppi l’uno riferibile ad un soggetto allo stato irreperibile, leader del gruppo (composto anche da Ibrahim Keita e altri due irreperibili) e l’altro guidato da Alfousseni Sanogo (composto da Hadara Arouna Touma detto Usman, Fode Berthe, Mamadi Diallo, Abidine Balde Zeynoule, Souleymane Diarrasouba, Siriki Fofana, Souleymane Bamba, Abdoul Kader Bamba e altri due soggetti irreperibili).

Accanto a queste tre cellule, avrebbero operato anche due soggetti “cerniera”: Ali Sangarè e un altro soggetto ancora irreperibile. Nel corso delle indagini dell’operazione Landayà sarebbero emersi anche dati che confermerebbero una “fibrillazione” tra membri dell’organizzazione di diversa cittadinanza, che avrebbe portato anche alla violenta aggressione di uno dei destinatari del provvedimento di fermo, anche lui ancora irreperibile.

Il nome dell’operazione “Landayà” e il “business” sulla pelle dei migranti

Ulteriori conferme sono giunte dagli accertamenti patrimoniali svolti sincronicamente alle attività tecniche e tradizionali, che hanno permesso di confermare un considerevole giro d’affari: sebbene la maggior parte dei movimenti dei flussi di denaro avvenisse in contanti (soprattutto per la clientela agganciata alla spicciolata in prossimità dei confini) e un’altra parte attraverso sistemi basati sulla mera fiducia, definita dai monitorati con il termine “Landaya”, l’analisi delle PostePay degli indagati ha permesso di attestare che uno dei sodali aveva effettuato l’acquisto online di titoli di viaggio in un limitato arco temporale per un ammontare di circa 26.000 euro.

L’analisi dei flussi di denaro relativi alle carte PostePay utilizzate restituiva per ciascuna un saldo pari a zero: le carte venivano infatti utilizzate quali meri contenitori precari, con transazioni complessivamente ammontanti a 800.000 euro solo considerando le PostePay intestate a diversi indagati e dovendosi, comunque, tenere in considerazione che spesso nel settore dello smuggling e del trafficking, i flussi di denaro di rilievo avvengono utilizzando soggetti apparentemente non legati agli autori del reato.

Dietro l’operazione Landayà non c’erano solo movimenti anomali e illeciti di denaro. Pare, infatti, che alcune donne siano state costrette – per pagare il viaggio – a corrispondere prestazioni sessuali, anche quando viaggiavano con i figli piccoli.

I trafficanti sfruttavano spesso la vulnerabilità dei migranti in difficoltà per raggiungere i propri scopi. In un dialogo monitorato, uno dei fermati dell’operazione Landayà dice: “Questa è una cosa che ti ho detto mille volte! Quando parli con un cliente devi per prima cosa farlo partire, guidandolo da dove si trova, sino a farlo giungere a Milano oppure a Ventimiglia… poi dopo gli puoi chiedere in quale città vuole andare e infine gli dici il prezzo! Così hai la certezza di poter trovare un accordo! Già non arrivano tante persone e quelle poche che arrivano con il tuo modo di lavorare li fai allontanare”. In sostanza, la strategia consisteva nell’imbrigliare il migrante offrendogli quanto atteso e anche di più ed in fretta, portando le negoziazioni a un punto tale da rendergli impossibile il rifiuto del servizio.

Tra l’altro alcuni degli indagati, avrebbero approfittato in tal senso, del loro inserimento a vario titolo all’interno di strutture di accoglienza per migranti: per un verso accreditandosi presso i migranti; per altro verso sfruttando tutte le informazioni per tale ragione disponibili circa i nuovi arrivi, le nazionalità e l’età dei potenziali clienti.

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