Riforma Giustizia non più rinviabile. Scarpinato, “la politica vuole imbavagliare la magistratura” - QdS

Riforma Giustizia non più rinviabile. Scarpinato, “la politica vuole imbavagliare la magistratura”

redazione

Riforma Giustizia non più rinviabile. Scarpinato, “la politica vuole imbavagliare la magistratura”

giovedì 30 Luglio 2020

J'accuse del Procuratore generale della Corte d'Appello di Palermo. Separazione carriere giudici, iniziato l’esame della proposta di legge ma sono tanti i nodi ancora da sciogliere. "Recuperare credibilità e fiducia dei cittadini", gli appelli di Mattarella caduti nel vuoto

di Paola Giordano e Patrizia Penna

“In una corporazione di 9 mila persone, quanti sono i magistrati in Italia, ci possono essere anche quelli che non hanno questa statura etica, ma certamente bisogna evitare che un mondo politico che da tempo ha interessi a mettere la museruola alla magistratura, così come era ai tempi di Rocco Chinnici, possa cavalcare la tigre di questo momento per raggiungere un obiettivo che è quello di subordinare la magistratura italiana al potere esecutivo. Ecco, bisogna essere lucidi e capire che cosa bisogna salvare e cosa bisogna cambiare”.

Parole pesantissime quelle pronunciate dal Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo Roberto Scarpinato, a margine della cerimonia di commemorazione del giudice Rocco Chinnici e riferendosi al difficile momento che sta vivendo la magistratura, soprattutto dopo il caso Palamara.

I cittadini stanno perdendo la fiducia nella Giustizia? Scarpinato non ha dubbi: “Penso che bisogna stare attenti e bisogna evitare di buttare il bambino con l’acqua sporca. Il bambino sono magistrati come Chinnici, Falcone, Borsellino e tanti altri che hanno dato a questo Paese un contributo importantissimo non solo di giustizia ma per salvare la democrazia”.

Appena qualche giorno fa l’Aula di Montecitorio ha iniziato l’esame della proposta di legge di iniziativa popolare, promossa dalle Camere Penali, sulla separazione delle carriere dei magistrati. Da più parti è stato evidenziato che siamo di fronte ad una riforma “storica” ma soprattutto non più rinviabile.
“Ma è solo il primo tassello di una riforma complessiva assolutamente necessaria per il nostro Paese”, ha giustamente sottolineato Matilde Siracusano, deputata di Forza Italia e membro della Commissione Giustizia di Montecitorio.

Stesso concetto è stato ribadito anche dalla Presidente del Senato, Elisabetta Casellati, incontrando la Stampa Parlamentare nella tradizionale cerimonia del Ventaglio: “La riforma della giustizia – ha chiosato – non è più rinviabile: sorteggio dei togati del Csm, separazione delle carriere, divieto di porte girevoli tra magistratura e politica e viceversa, sono alcune delle misure che mi sento di suggerire in virtù della mia esperienza al Csm”.

I nodi da sciogliere, in effetti, sono tantissimi: l’uso politico o comunque “protagonistico” della giustizia da parte di alcuni magistrati, la riforma del Csm, la durata irragionevole dei processi, gli errori giudiziari, le intercettazioni, il tritacarne mediatico che fa passare in secondo piano la verità processuale a favore di quella propinata da web, stampa e social media.

Le ferite inferte al sistema giustizia sono tante, troppe, ed hanno prodotto effetti devastanti sulla percezione che i cittadini hanno della Giustizia e sulla terzietà dei giudici.

Da dove ripartire, dunque?
Secondo Scarpinato “il punto di partenza è la sfida ineludibile e una capacità di autoriforma della magistratura. Il vero cambiamento avverrà dall’interno della magistratura o non avverrà”.

Errori giudiziari in aumento, solo a Catania erogati 5,7 milioni di euro in indennizzi

Gli errori giudiziari continuano a mietere vittime: secondo gli ultimi dati raccolti dall’Associazione Errorigiudiziari.com, nel 2019 sono stati registrati in Italia 1.000 casi di ingiusta detenzione, per una spesa complessiva in indennizzi di cui è stata disposta la liquidazione che sfiora i 44,9 milioni di euro.
Numeri nettamente superiori rispetto all’anno precedente, quando i casi erano 895 e la spesa era inferiore del 33 per cento.

Dal 1992 (anno da cui parte la contabilità ufficiale delle riparazioni per ingiusta detenzione nei registri conservati presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze) al 31 dicembre 2019, si contano 28.702 casi: in media, 1025 innocenti in custodia cautelare ogni anno. Il tutto per una spesa media annua di poco superiore ai 27 milioni di euro che, complessivamente, supera i 757 milioni di euro in indennizzi.

Aggiungendo i casi di errore giudiziario in senso stretto (che solo lo scorso anno sono stati 20 e che dal 1991 al 2019 sono 191) si arriva quasi a quota 29.000 casi. Tradotto in euro si parla di una spesa complessiva dello Stato, tra indennizzi e risarcimenti veri e propri, enorme: 823,7 milioni di euro, circa 28,4 milioni di euro in media all’anno.

Nella top ten delle città con i maggior numero di casi di ingiusta detenzione indennizzati rientrano a pieno titolo le tre siciliane Catania (sesto posto con 57 casi), Messina (settima con 45 casi) e Palermo (decima con 39 casi), per un totale di 141 casi (il 14 per cento del dato nazionale).
Nella classifica delle città in cui lo Stato ha speso di più la città etnea è quarta con quasi 5,7 milioni, seguita da Palermo (al quinto posto con 3,2 milioni) e, alla nona posizione posto, da Messina (1,7 milioni). Vale a dire un totale di oltre 10 milioni di euro.

Durata irragionevole dei processi, una lentezza che in Sicilia nel 2019 è costata 27 milioni in risarcimenti

Un’altra faccia della malagiustizia italiana è quella che si manifesta attraverso l’irragionevole durata dei processi.

Il procuratore regionale della Corte dei conti, Gianluca Albo, nella relazione stilata in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario 2020, ha riportato i dati relativi al 2019, dai quali si evince che, limitatamente alle quattro Corti d’appello siciliane, la lentezza della giustizia è costata alle casse dello Stato oltre 27 milioni. Di essi più di un terzo è stato sborsato per decreti di equa riparazione nella Corte d’appello di Messina; 8,9 milioni per quelli di competenza della Corte d’appello palermitana, 5,7 per Catania e 2,4 per Caltanissetta.

“Nell’analisi del contrasto giudiziario alla corruzione – precisa Albo nella citata relazione – rimane ancora una volta primario il tema della corretta allocazione delle risorse che vuol dire investire risorse umane e materiali dove servono, e con la adeguata proporzionalità, cioè per quanto realmente servono. In proposito il dato acquisito nel 2019 di oltre 27 milioni di euro di indennizzo ex lege Pinto desumibile dai decreti di equa riparazione per durata irragionevole del processo pronunciati dalle quattro Corti di appello siciliane è allarmante e rende indispensabile una rimodulazione delle piante organiche che, ad oggi, sembrano prediligere gli organi di impulso a discapito degli organi di definizione dei giudizi, con inevitabile ‘effetto imbuto’ e conseguente dilatazione delle tempistiche processuali”.

Esecuzioni immobiliari, In Sicilia 3.960 aste “sospese”, così si blocca anche l’economica

Ad arrecare un ingente danno all’economia del Bel Paese è anche un’altra questione legata al tema giustizia: quella cioè delle aste giudiziarie.

Secondo quanto emerge dal rapporto “Scenario aste immobiliari 2019” pubblicato da Reviva, start-up nata nel 2017 per “vivacizzare” le aste immobiliari, in Italia, solo nel 2019, il patrimonio immobiliare all’asta si è svalutato di 3,4 miliardi di euro a fronte un valore complessivo di 18 miliardi di euro.
A ciò si aggiunge il fatto che le nuove modalità telematiche di vendita introdotte dalla legge n. 119/2016 di fatto, hanno reso più difficoltosa e ostica la partecipazione alle aste da parte dei potenziali investitori, a causa della scarsa familiarità con le procedure online.

E poi c’è la pubblicità on line delle aste: in considerazione delle criticità rilevate anche su questo fronte, la pubblicazione cartacea è da considerarsi un investimento per riuscire a raggiungere quella piccola percentuale di utenti poco tecnologici. Il risultato è un sistema “inceppato”, nel quale l’aggiudicazione del bene diventa di fatto difficile. Tali meccanismi poco fluidi hanno determinato un freno agli investimenti in un mercato, come quello immobiliare per l’appunto, che presenta potenzialità enormi.

A tali difficoltà, si è aggiunta quella, del tutto imprevista, legata all’emergenza sanitaria tutt’ora in corso. Dal 9 marzo e all’11 maggio, infatti, i Tribunali italiani sono rimasti chiusi. Con la conseguenza – inevitabile – che le aste giudiziarie sono state sospese. Secondo i dati che Reviva ha fornito al Quotidiano di Sicilia, il numero delle aste sospese nell’Isola a causa del Covid-19 è di 3.960 (il 13% del totale), che tradotti in euro si aggirano su un valore totale, inteso come la somma delle offerte minime, che sfiora i 380 milioni di euro (il 12% del valore totale).
A livello nazionale le esecuzioni immobiliari sospese sono state 30.815, per un valore totale di 3,17 miliardi di euro.
Nonostante la riapertura dei Tribunali, la ripresa sarà lenta: si prevede un ritorno a pieno regime solo a partire da settembre. Forse.

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