Vittime Fosse Ardeatine, il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri

Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine, il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri

Stefano Scibilia

Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine, il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri

Redazione  |
lunedì 15 Aprile 2024

Nel testo sono presenti anche diverse storie di siciliani uccisi in quel contesto storico

“Non ti allarmare se dovessi partire. Tutto previsto. Importa soltanto che sia libera Roma”. A scrivere queste tragiche parole, in un biglietto clandestino dal carcere nazista in via Tasso, nella capitale occupata, è il tenente generale d’Artiglieria Vito Artale. Palermitano di nascita, 62 anni, in divisa da quando ne aveva 20, Vito è uno dei 16 siciliani che il 24 marzo 1944 vengono trucidati alle Fosse Ardeatine, la più grave strage compiuta dai tedeschi in un’area metropolitana e, oggi, eccidio simbolo della Resistenza.

Nella cava di pozzolana alle porte di Roma, infatti, all’inizio della drammatica primavera del 1944 vengono uccisi 335 uomini, freddati con un colpo di pistola a bruciapelo alla testa. La carneficina inizia nel primo pomeriggio e si conclude che è sera, con i cadaveri che cadono e si ammassano sul fondo della galleria, sul cumulo di quelli che li hanno preceduti. L’ingresso delle cave verrà poi fatto saltare per occultare la strage.

Fosse Ardeatine, tra le vittime due terzi erano prigionieri politici

Le vittime delle Fosse Ardeatine – in proporzione di dieci a uno, più 5 per errore, come rappresaglia per l’attacco partigiano del giorno precedente in via Rasella costato la vita a 33 soldati delle forze d’occupazione – sono per oltre due terzi prigionieri politici, appartenenti a tutte le forze antifasciste. Gli altri martiri, non politici, aggiunti per ottenere il numero stabilito, sono ebrei destinati alla deportazione, alcune persone rastrellate in via Rasella subito dopo l’attacco partigiano ma del tutto estranee ai fatti e alcuni detenuti comuni per motivi di pubblica sicurezza.

Fino ad oggi, però, eccetto alcuni nomi noti, delle vittime delle Fosse Ardeatine si conosceva assai poco. Le loro storie individuali col passare del tempo sono state dimenticate, perdute o in qualche caso mai ben conosciute a fondo (tre di loro sono ancora ignoti). Eppure, a ricostruirle tutte, cosa che per la prima volta fa il libro di Mario Avagliano e Marco Palmieri Le vite spezzate delle Fosse Ardeatine.

Le storie delle vittime dell’eccidio simbolo della Resistenza edito da Einaudi, emerge un microcosmo altamente rappresentativo dell’intera storia italiana del tempo, in uno dei suoi snodi più drammatici e cruciali, tra fascismo, occupazione nazista, guerra civile e Resistenza. Dalle storie individuali, infatti, il libro fa emergere un microcosmo altamente rappresentativo dell’intera storia italiana del tempo.

Fosse Ardeatine, vittime provenienti da tutta italia

Le vittime sono di tutta Italia (ben 18 regioni, 6 nati all’estero e 9 stranieri), di tutti i ceti sociali, i livelli di
istruzione e le condizioni economiche, lavorative e professionali. Vanno dai giovanissimi (33 hanno solo tra i 15 e i 21 anni) agli ultrasessantenni (14). Sono cattolici, ebrei, evangelisti e atei. Civili e militari (una quarantina di ufficiali di tutte le armi, veterani della grande guerra e giovani volontari delle campagne più recenti; il Fronte militare clandestino del colonnello Montezemolo, che ha un ruolo fondamentale nella Resistenza, conta almeno 42 vittime).

Numerosi sono anche i membri delle forze dell’ordine, in particolare carabinieri e poliziotti. Le Fosse Ardeatine, dunque, come specchio della storia dell’Italia e della Resistenza. E proprio la storia della
Resistenza troppo spesso ha scontato dimenticanze importanti sul ruolo che in essa ha avuto anche l’Italia meridionale, assecondando una tendenza della memoria a considerarla un fenomeno che ha riguardato pressoché esclusivamente l’Italia centro settentrionale. Ma non è così.

Fosse Ardeatine, la stagione meridionale della Resistenza

Le ricerche più recenti – tra cui un recente libro degli stessi Avagliano e Palmieri, Paisà sciuscià e segnorine – hanno portato in piena luce l’intensa stagione meridionale della Resistenza, che non si limita alle vicende più note come quella delle famose giornate di Napoli, ma che vede al sud un vero e proprio
laboratorio di quello che poi avverrà su scala maggiore e in un arco di tempo più esteso al nord.

Così come, a prescindere dalla posizione geografica, sono tantissimi i meridionali impegnati a vario titolo e in vari modi nella Resistenza. Viva l’alto numero di loro che muoiono alle Fosse Ardeatine ne è ulteriore riprova.

Fosse Ardeatine, la Sicilia la Regione con il maggior numero di vittime

Tra questi, come detto, ben 16 sono siciliani, la regione con più numero di vittime dopo ovviamente il Lazio (quasi 200) e la Campania (19). Vito Artale, che dal carcere scrive al fratello il biglietto clandestino citato sopra, pur essendo stato collocato in congedo dalla Rsi, è uno dei tanti militari che entrano nel Fronte clandestino e si adopera per sottrarre macchinari, attrezzature, materiali e documenti preziosi da un impianto in via Marsala e dalla caserma della Cecchignola, controllati dai tedeschi.

Si scontra duramente con alcuni ufficiali e operai italiani collaborazionisti, dicendo loro che «quando verranno gli inglesi vi farò mettere con le spalle al muro». Ma è lui a cadere nelle mani dei tedeschi, prima ella liberazione di Roma. Daniele Giordano, invece, è un corazziere di 27 anni, anche lui di Palermo, ma trasferitosi a Roma da piccolo con la famiglia. Rifiuta di aderire alla Rsi e aderisce al Fronte clandestino, ma cade nella rete per colpa di una spia al soldo delle SS.

Anche il quarantanovenne di Patti Giovanni Rampulla, già ferito al fronte alle gambe, non aderisce a Salò e si adopera per raccogliere diversi commilitoni in un grippo che porta il suo nome. Collabora con l’Unione nazionale della democrazia italiana di Placido Martini, al quale lo uniscono anche i legami con la massoneria.

A via tasso con don Pietro Pappagallo al quale, secondo una testimonianza, è vicino anche quando impartisce la benedizione nel piazzale delle Cave prima del massacro. È legato alla formazione di Martini anche Carlo Avolio, quarantottenne di Siracusa, dirigente della ditta statale Saib, Società anonima importazione bovini, per la quale lavora a Budapest anche lo Schindler italiano Giorgio Perlasca,
agente della sede di Trieste.

Fosse Ardeatine, le storie dei siciliani

Altri militari sono Rosario Pitrelli di Caltagirone, Ermelindo Pietro Lungaro di Erice, Leonardo Butticé di Siculiana (all’annuncio dell’armistizio si trova all’ospedale militare di Firenze ma riesce ad allontanarsi e a far ritorno a Roma dove dismette la divisa e si nasconde grazie all’aiuto della famiglia della fidanzata), Salvatore La Rosa di Aragona (identificato dai carabinieri del Ris solo nel 2011, grazie all’esame del Dna sui resti contenuti nel sarcofago 273, confrontato con quello della figlia Angela), Sebastiano Ialuna di Mineo, Santo Morgano di Militello Rosmarino, e Gaetano Butera di Riesi di appena 19 anni.

Toccante è la storia di un altro giovanissimo, Federico Agnini, studente in medicina alla Sapienza, anche lui di 19 anni, di Catania, a Roma da quando ne ha 11. Dopo la caduta di Mussolini e l’armistizio fonda l’Arsi, Associazione rivoluzionaria studentesca italiana. Al gruppo aderiscono giovani tra i 14 e i 20 anni, di differenti opinioni politiche, che hanno stretto amicizia durante le partite a pallone in piazza Sempione, le nuotate nell’Aniene oltre il Ponte Vecchio e i pomeriggi al bar Bonelli, finché la rete tedesca si stringe intorno al loro gruppo.

Lui invia un biglietto al padre in cui scrive «di aiutare la mamma a superare il grave colpo. Avvertire subito il mio intimo amico perché faccia scappare gli altri compagni. State tranquilli: faro il mio dovere. Viva l’Italia libera». Storie diverse sono invece quelle di Nunzio Rindone, pastore di 30 anni di Leonforte, che al momento dell’armistizio si trova a Roma ed entra nella Resistenza ma cade in trappola dopo aver tentato di liberare due prigionieri politici detenuti in una caserma del quartiere Salario.

O quella di Michele Partito, scalpellino di 30 anni di Casteltermini, che si trasferisce a Roma probabilmente nella primavera del 1943 perché ha paura dei tedeschi stanziati in Sicilia. Tra le vittime delle Fosse Ardeatine anche lui viene identificato solo nel 2012, grazie alla prova del Dna.

C’è un siciliano anche tra i rastrellati di via Rasella, Cosimo D’Amico, 36 anni di Catania, amministratore teatrale. Infine c’è Raffaele Zicconi di Sommatino, modi e abbigliamento eleganti (nelle lettere dal carcere fa più volte cenno al suo smoking), fin da giovane viene educato dal padre all’antifascismo, impiegato alle Poste nella capitale. Dopo l’armistizio aderisce al Partito d’Azione.

Arrestato, da Regina Coeli scrive clandestinamente: «qui non siamo volgari delinquenti, ma detenuti politici. Dopo ben 17 giorni di segregazione cellulare, murato vivo in una stanza, solo, maltrattato in maniera eccessiva, adesso che rivedo la luce sono risuscitato. Le botte, la fame, la mancanza d’aria, mi
avevano prodotto un poco di nevrosi cardiaca, dalla quale mi vado rimettendo».

E dopo aver raccontato che «mi hanno ormai collaudato come incassatore di primo ordine anzi fuori classe», aggiunge di essere «fermamente convinto che il peggio è passato». Ma il peggio doveva ancora venire.

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